Riforma del contenzioso previdenziale e assistenziale. Di filtro in filtro, fino a scoraggiare i bisognosi
Dal sito patronato.anmil.it, intervento di Pasquale Acconcia
Martedì 04 Giugno 2013 10:07
Riforma del contenzioso previdenziale e assistenziale. Di filtro in filtro, fino a scoraggiare i bisognosi
[collapse collapsed title=1. L’evoluzione del Sistema di sicurezza sociale.]
L’evoluzione del Sistema di sicurezza sociale: il “contributo” delle riforme del contenzioso previdenziale e assistenziale.
Il susseguirsi, di decreti, leggi di conversione, ricicli di provvedimenti, interventi della Corte costituzionale, annunci o leggi rimasti inattuati (alcuni sul filo di lana) in materia di previdenza e assistenza sociale; non tanto fra gli specialisti, quanto nel pubblico degli utenti e degli operatori chiamati a confrontarsi quotidianamente con un ampio ventaglio di problemi, di contenziosi, di quesiti e informazioni. Né la complessità è destinata a essere superata con la prossima legislatura: l’esperienza insegna che il cambio, anche in continuità, non supera la tentazione di “rimettere le cose a posto” sotto spinte più o meno convincenti, con il sicuro risultato di un cronico protrarsi di incertezze, cambi di percorso, disorientamento crescente degli utenti e degli stessi operatori del diritto[fn]Esemplare a questo proposito è la vicenda del decreto 81 del 2008, approvato a fine legislatura, forse con qualche approssimazione, e che dall’anno successivo è stato oggetto di continue rivisitazioni: chiare e palesi nel caso del decreto 106 del 2009; confuse negli anni successivi fra commi di leggi omnibus, rinvii di attuazione, interventi ministeriali che hanno creato obiettivi intralci all’immediata attuazione di alcune norme..[/fn]
Del resto, la situazione già si è aggravata negli ultimi tempi per la chiusura generalizzata degli sportelli degli enti previdenziali con sovraccarico d’impegni per i patronati, chiamati a modificare nelle loro verifiche e bilanci sociali, la “torta” delle percentuali di pratiche trattate; fino a qualche tempo fa le pratiche non delle pensioni costituivano una fettina esigua della torta stessa in cui campeggiavano le pratiche delle pensioni. Il problema, riguarda, fra l’altro, l’intero comparto del contenzioso previdenziale che più di altri, di là dalle apparenze, è stato oggetto di forti interventi accomunati dall’obiettivo del risparmio e della lotta alle sperequazioni e abusi.
Conclusa la legislatura, è opportuno, quindi, approfittare dell’inevitabile pausa di riflessione per un riassunto schematico che, senza nessuna pretesa di novità e completezza, sfrutti appieno la dovizia d’informazioni e commenti che sui vari temi troviamo scorrendo i siti del Web. Il compito non è agevole, è bene rilevarlo, è anzi irto d’insidie poiché sul web si trovano contributi interessanti e pregevoli, quasi mai datati, però, e privi di quella garanzia di “consolidata” completezza rispetto all’evoluzione nel frattempo intervenuta su questo o quell’istituto che costituisce l’elemento distintivo di una comunicazione di servizio rispetto alla mera informativa sui fatti per come accadono.
Per chi è chiamato, così, a dare risposte esaurienti anche in breve tempo costituisce un aggravio di lavoro e responsabilità oltreché un impegno di ampliamento della sfera di conoscenze e professionalità che non può certo improvvisarsi. Infatti, non sempre è chiaro nel comune sentire e fra gli addetti ai lavori che l’operatore di patronato, o il consulente, si trova sempre davanti una persona, non una pratica, una domanda, una mail. Una persona con la complessità di problemi, ansie e curiosità di cui è portatrice e che anticipa spesso i tempi vuol sapere se e come andare in giudizio, chiede anche informazioni su eventuali percorsi di responsabilità civile ecc.
Di questo dovrebbero essere consapevoli governanti ed enti che spesso riducono tutto alla gestione di una pratica, ormai telematica, che potrà diventare il fulcro – lo prevede l’ultima riforma dei Patronati[fn]Che punta l’attenzione e le risorse finanziarie sulle funzioni di supplenza degli sportelli previdenziali e su verifiche della qualità della gestione delle pratiche telematiche.[/fn]. - della valutazione sulla qualità dei servizi di patronato fino a giustificare la richiesta che “serpeggia” sul web di chiudere le stesse sedi degli istituti previdenziali, mandando a casa i dipendenti.
Proprio in considerazione della globalità di approccio degli utenti ai servizi, pubblici e privati, si richiama, di seguito, sommariamente l’intero sistema di contenzioso giudiziario di sicurezza sociale e, quindi:- i temi riguardanti il presupposto in condizioni fisiche del soggetto, con esclusione della infortunistica del lavoro; il contenzioso dell’assicurazione infortuni; il contenzioso di tutte le altre prestazioni non riconducibili ad invalidità, da quello delle prestazioni a sostegno del reddito a quelle componenti pensionistiche che non riflettano le anzidette condizioni di invalidità.
Discorso parallelo riguarda la necessità di un rapido accenno al contenzioso relativo a pretese risarcitorie che il soggetto possa vantare nei confronti di danneggianti, indipendentemente dai meccanismi di tutela sociale, e che pure interessano il lavoratore già all’indomani dell’infortunio o del manifestarsi della malattia professionale.
Sempre per offrire un punto di riferimento complessivo, infine, nel paragrafo seguente si premette un sintetico richiamo del procedimento e contenzioso amministrativo anch’essi accomunati, soprattutto nell’ultimo periodo, dal dichiarato obiettivo di scoraggiare il contenzioso alla radice, ridimensionare anche per questa via i costi della sicurezza sociale, concentrare competenze e funzioni in modo da promuovere economie di scala – tutte da verificare considerate le statistiche più recenti sulle azioni promosse da INPS – e creare circuiti virtuosi di semplificazione e risparmio.
Si vuole semplificare, si vuole risparmiare – a tutti i costi, forse doverosamente data la situazione generale – magari imponendo a INPS di tagliare personale nello stesso momento in cui gli si impone di effettuare più di diecimila controlli straordinari al mese per situazioni complesse sul piano medico legale e in contemporanea con lo stare in giudizio, il personale, per conto dell’Istituto.
Già da questa fase, ordinaria, si delinea così un quadro negativo non solo per quanto riguarda il merito delle questione, il valore dei diritti sociali, ma anche per quanto riguarda l’elevato costo – l’elevato costo, diretto ed indiretto, finanziario e gestionale - che l’”avere giustizia“ potrà determinare nelle persone degli invalidi, a qualsiasi titolo, con crescita esponenziale, fra l’altro, dell’impegno degli operatori di patronato nel momento in cui siano chiamati, per dovere di ufficio o per solidarietà personale a consigliare o meno l’avvio di un impervio percorso di contenzioso amministrativo e giudiziario. Impervio e costoso per effetto del venir meno di certi privilegi delle azioni previdenziali, da un lato, della crescente rigidità dei meccanismi di riferimento a cominciare dall’ISEE.
Per questo i paragrafi che seguono richiamano i punti “caldi” delle questioni legali nei loro riflessi anche economici, come semplice e certamente non esaustiva guida per orientarsi al riguardo e confermare come soprattutto per queste fasi sia indispensabile l’apporto di specialisti gestionali, prima, professionali, poi.[/collapse]
[collapse collapsed title=2. La gestione delle prestazioni a “presupposto” sanitario.]
La gestione delle prestazioni a “presupposto” sanitario: prime prove di filtri e cavalli di Frisia.
L’introduzione dell’istituto dell’Accertamento tecnico preventivo, per tutte le questioni riguardanti le prestazioni previdenziali e assistenziali (salvo quelle infortunistiche) induce a richiamare in uno stesso paragrafo, come si è detto, i distinti filoni di pratica amministrativa e di (eventuale) contenzioso amministrativo per i vari istituti di riferimento.
L’invalidità civile. Ha, per questi aspetti, storia antica che affonda le sue radici nell’evoluzione stessa dell’assistenza sociale in Italia con le originarie competenze del Ministero degli interni referente amministrativo (“pagatore”), coadiuvato da una rete di commissioni sanitarie – variamente composte[fn]La composizione e le funzioni delle Commissioni per l'accertamento dell'invalidità civile (l.295/90) dell'handicap (l. 104/92) delle disabilita' per il collocamento mirato (l. 68/99) della cecità civile e del sordomutismo operanti presso le ASL è stata modificata nel 2010 con l’inserimento di un medico INPS nel quadro della generale revisione del procedimento sanitario e amministrativo della pensionistica di invalidità civile per la quale v. i richiami di sintesi sul Sito INPS www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=5358.[/fn]. - responsabili sostanziali della valutazione medico legale di base con un complesso meccanismo, di rapporti fra livelli di responsabilità, a fronte del quale con un primo intervento[fn]Da ciò una rete di organismi di primo e secondo livello, chiamati a valutazione medica legale pur in mancanza di specifica professionalità dei suoi addetti e con un crescendo d arretrato, da un lato, complessità gestionale dall’altro.[/fn] l'art. 42 dalla legge 326/2003 ha eliminato il ricorso amministrativo contro il rigetto della domanda e ha previsto un termine di decadenza di sei mesi per la proposizione dell’azione giudiziaria.
Era chiaro l’intento di semplificare e ridimensionare i costi, in linea con il quale si è poi trasferita all’INPS la competenza amministrativa, e più recentemente si è riformato il meccanismo di primo accertamento della invalidità, si è introdotto con la legge 35/2012 l’ATP e la possibilità per l’INPS, prevista dalla legge 35/2012, di essere rappresentato in giudizio da funzionari amministrativi.
Occorre, peraltro, considerare – pur senza addentrarsi nella “storia” dell’invalidità civile e del riformismo perennemente incompiuto che caratterizza il sistema sociale[fn]In questo caso, peraltro, occorre riconoscere che la complessità scaturisce dallo stesso assetto costituzionale che attribuisce competenze pressoché esclusive in materia sanitaria alle regione.[/fn]. – che l’accertamento di base resta complesso con valutazione dell’apposita commissione, integrata da rappresentante dell’INPS, intervento del dirigente sanitario INPS – una sorta di deus ex machina - eventuale nuova valutazione in commissione[fn]Tutto questo meccanismo, peraltro, non ha consentito di realizzare i preventivati effetti deflattivi del contenzioso giudiziario come risulta dalle periodiche relazioni degli organi dell’INPS.[/fn].
Si tratta di un giro singolarmente complesso, insomma, per recuperare l’unità di responsabilità sanitario-amministrativa in capo all’INPS con formale omaggio al riparto di competenze costituzionali fra Stato e regioni., Un ossequio farraginoso, dispersivo e francamente inutile poiché a parità di condizioni (una norma della legge 833 sul SSN riservava a quest’ultimo tutte le competenze in materia di accertamenti medico legali a fini sociali) una legge successiva ha confermato l’esclusiva competenza al riguardo, per i settori specifici, di INPS ed INAIL senza che sia stata sollevata alcuna obiezione.
Le pensioni d’inabilità e l’assegno d’invalidità INPS Le procedure sono rimaste immutate per quanto riguarda il procedimento di prima valutazione e l’eventuale ricorso al Comitato provinciale INPS che assume, così, rilevanza propedeutica ai sensi dell’art. 443 c.p.c.. Del resto, a fronte di problemi in passato analoghi a quelli delle invalidità civili – pesanti arretrati, rischi di “falsità” o brogli, ecc., si è intervenuto nel tempo con modifiche radicali dei criteri di attribuzione dei benefici previdenziali, a partire dal passaggio dalla capacità di guadagno dalla invalidità.
L’assicurazione infortuni Egualmente immutato è rimasto il quadro normativo per le relative valutazioni medico legali, con un sistema che non prevede ricorsi amministrativi, salvo una sorta di opposizione con possibilità, informale, di utilizzare una valutazione in collegiale non vincolante per le parti che comunque impegna qualificate professionalità da parte dell’Istituto e dell’interessato, generalmente assistito dal Patronato e dai suoi consulenti di parte. Nella specie, infatti, si tratta non solo di valutare lo stato di salute del soggetto ma anche di cogliere nelle patologie in questione un nesso di collegamento con il lavoro e le sue espressioni.
Quest’ultimo accenno consente di richiamare un punto del sistema che rischia di costituire l’anello debole dell’intera catena di accertamenti e valutazioni, rimesse in definitiva a professionisti medici senz’altro egregi, ma privi spesso della necessaria qualificazione ed esperienza medicolegale o di medicina del lavoro. E ciò sia per quanto riguarda le fasi di sviluppo ordinario della pratica sia per quanto riguarda la fase contenziosa e soprattutto la figura del CTU che finisce per essere l’unico arbitro effettivo della situazione con valutazioni nemmeno riconsiderabili in successivi gradi di giudizio.
E’ sistematico, nei giudizi in Cassazione, il richiamo del principio di esclusiva competenza del giudice di merito nel valutare i fatti; con l’ausilio, nel caso di specie, del CTU che non sempre è uno specialista e deve essere spesso scelto secondo disponibilità del momento od anche a rotazione. Non Solo, ma la situazione rischia di aggravarsi nel tempo per il parallelo impatto dei programmi di verifica speciale che consistono essenzialmente in attività medico legali affidati agli stessi sanitari INPS chiamati a riconsiderare valutazioni effettuate in altri contesti scientifici e sociali con il rischio di un contenzioso strisciante che richieda prima o poi un intervento legislativo analogo a quello effettuato con l’INAIL per le revisioni per errore.[/collapse]
[collapse collapsed title=3. Prove di equità o di economicità ?.]
Prove di equità o di economicità ? L’unificazione dei percorsi giudiziari ed un primo filtro specifico. L’Accertamento Tecnico Preventivo Obbligatorio per un mix di scoraggiamento della via giudiziaria, riduzione della delle pensioni d'invalidità.
La legge 111/2011 ha operato (con un nuovo articolo 445 bis c.p.c.) una prima unificazione di percorso con riferimento alle prestazioni sub 1.1 e 1.2[fn]La apparente semplicità del disposto normativo e la conseguente “unificazione” del testo si infrangono sull’ostacolo costituito dalla interpretazione letterale della nozione di invalidità che sembrerebbe escludere varie tipologie di invalidità specifica che coesistono con quella di invalidità generica dell’AGO in fondi e casse varie. Sul punto v. - con un’ampia ricostruzione dei vari istituti ed il richiamo del variegato mondo delle “invalidità” nei diversi regimi previdenziali complementari o sostitutivi - v. Lodi , La nuova regolamentazione del contenzioso previdenziale ed assistenziale su http://www.bizbrain.it/luigidigiosaffatte/?p=230 che richiama l’orientamento dei legali INPS favorevole ad un interpretazione strettamente letterale del termine invalidità della riforma, riporta una schematica ricognizione delle varie tipologie di “invalidità che ancora permangono nel sistema, sottolineando che, comunque, “stante la generica dizione adottata dal legislatore, si può legittimamente assumere che, da un lato, nella locuzione “pensioni di inabilità” debbano essere inclusi anche “l’assegno privilegiato di inabilità” e l’eventuale subordinato “assegno mensile per l’assistenza personale e continuativa”, e, dall’altro lato, che l’ulteriore locuzione “Assegno di invalidità” debba comprendere sia “l’Assegno ordinario di invalidità” (A. O. I.), sia “l’Assegno privilegiato di invalidità” (A. P. I.).” V. anche www.studioaquilani.it/content/il-nuovo-processo-previdenziale-e-assistenziale.[/fn]. Sempre al dichiarato scopo di scoraggiare il contenzioso e ridurre al minimo l’avvio del lungo percorso fin verso la Carte di Cassazione. Dal complesso delle previsioni, richiami e rinvii il nuovo istituto risulta così configurato:
- trattandosi di condizione di procedibilità il ricorrente deve chiederne l’esperimento con ricorso diretto al Tribunale che interrompe la prescrizione; altrimenti la improcedibilità deve essere (non oltre la prima udienza) eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice che assegna alle parti 15 giorni di tempo per avviarlo o concluderlo.
- il giudice ha l’obbligo di procedere, a norma dell’art. 696-bis del codice di procedura civile, poiché compatibile (ossia a effettuare, almeno così sembrerebbe, il tentativo di conciliazione delle parti prima del deposito della relazione peritale) come pure a rispettare le modalità stabilite dall’art. 10, comma 6-bis, del decreto legge 203/2005 (legge 248/2005) laddove si legge che “Nei procedimenti giurisdizionali civili relativi a prestazioni sanitarie previdenziali ed assistenziali il giudice nomina un consulente tecnico d’ufficio che procede con indagini. Alle indagini assiste un medico legale dell’ente (su richiesta del consulente nominato dal giudice) autorizzato a partecipare alle operazioni peritali con facoltà di intervento mediante la formulazione di osservazioni e presentazione di istanze alle operazioni peritali effettuate dal Consulente tecnico;
- il giudice dispone per la redazione di un verbale delle indagini ovvero per la predisposizione di apposita completa relazione del CTU
- La relazione deve essere trasmessa dal consulente alle parti costituite nel termine stabilito dal giudice mediante ordinanza che fissa il termine entro il quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni e il termine, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse.”
- lo stesso Giudice, “terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.
- in assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196 [rinnovazione dell’indagine e sostituzione del consulente, n. d. r.], con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze della relazione del consulente tecnico. provvedendo sulle spese[fn]Terminologia, a quest’ultimo riguardo affatto generica, tanto che è stata adombrata la possibilità che il giudice addossi dette spese al ricorrente (Lodi cit. che peraltro esprime preoccupazioni al riguardo, auspicando che siano i giudici a limitare questa possibilità alle sole ipotesi di liti temerarie.[/fn].
- Il decreto, non impugnabile nè modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
- in caso di contestazione, il contestante deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.” (ultimi quattro capoversi della lettera b), sub 1).
- nel presentare il “ricorso introduttivo del giudizio”, l’interessato (ai sensi della lettera b), comma 1, dell’art. 38) “formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo.”[fn]Relativamente a tale situazione ed ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della norma in commento (come già sappiamo, il 1° gennaio 2012), il comma 3 dello stesso art. 38 stabilisce che “la dichiarazione relativa al valore della lite deve essere formulata nel corso del giudizio”.[/fn] Così prevede l’art. 38, comma 1, del decreto 98/2011, (convertito con legge 111/2011) con disposizione senz’altro vessatoria, a nostro avviso, qualora si consideri che tutte le prestazioni in questione sono fissate da leggi nel loro ammontare. E’ chiaro, quindi, l’intento di questa previsione (realizzare gli obiettivi di maggiore economicità dell’azione amministrativa, favorire la piena operatività e trasparenza dei pagamenti e la deflazione del contenzioso in materia previdenziale con un appesantimento abnorme della posizione dei richiedenti a fronte della previsione che “Gli enti previdenziali provvedono (entro 120 giorni, salva azione esecutiva alla scadenza) al pagamento delle somme dovute a titolo di spese, competenze e altri compensi in favore dei procuratori legalmente costituiti, esclusivamente attraverso l’accredito delle medesime sul conto corrente degli stessi. Tutte queste norme si applicano, in quanto compatibili, anche ai giudizi pendenti.
In questi termini l’accertamento tecnico preventivo è destinato a modificare – con il riassetto generale che comporta, comprensivo della revisione degli istituti della decadenza e prescrizione riguardante l’intero ambito delle prestazioni previdenziali nei termini richiamati da Lodi prima citato – il contenzioso relativo alle prestazioni relative a condizioni di invalidità. Con la conseguenza che le relative “cause”, depurate dei profili medico legali più complessi finiscono per essere equiparabili alla generalità delle vertenze di cui sia parte l’INPS, per quanto riguarda l’andamento della fase giurisdizionale in vari punto accomunabili a quelli comuni a tutte le vertenze civili).[/collapse]
[collapse collapsed title=4. Prove di rientro nel sistema generale delle controversi previdenziali e assistenziali per le componenti non sanitarie.]
Prove di rientro nel sistema generale delle controversi previdenziali e assistenziali per le componenti non sanitarie: specificità delle prescrizioni, decadenze; particolarità del contributo unificato e delle spese processuali.
4.1. Decadenza e Prescrizione.
Superata la specificità delle vertenze in tema di invalidità civili e pensionistiche, il discorso può rientrare in alvei più generali con ulteriori specificità riguardante il tema - trattato anch’esso dall’ art. 38 - delle prestazioni previdenziali in generale per i profili riguardanti il regime della decadenza e prescrizione integrato dall’articolo 38 per profili che superano l’ambito delle invalidità per riguardare tutte le prestazioni pensionistiche e “temporanee” gestite dall’INPS con esclusione di quelle assistenziali di cui al precedente punto 2.
Le modifiche hanno toccato l’articolo 47 della legge 639/1970 il cui testo originario disponeva che “Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'Istituto o dalla data di scadenza del termine omissis. Per le controversie in materia di prestazioni temporanee l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente comma “”. Rispetto a questo testo l’articolo 38 prevede che: 1) all’articolo 47 è aggiunto: “Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte.”; 2) dopo l’articolo 47 è inserito il seguente:“47-bis. 1. Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 -della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni.”
4.2. L’impianto del giudizio: il contributo unificato per le controversie previdenziali nell’ambito del sistema generale.
Per l’avvio della vera e propria fase giudiziale gioca un ruolo importante il Contributo unificato e la sua gestione che riguarda anche le vertenze in materia di previdenza e assistenza sociale nei termini oggi previsti dal D.L. n. 98/2011 (legge n. 111/2011) che all’ art.37, comma 6 adegua l’articolo 9 del Testo Unico sulle Spese di Giustizia, introducendo, appunto, il contributo unificato per le controversie in detta materia e quelle individuali di lavoro e rapporti di pubblico impiego. Per tali procedimenti affermata l’obbligatorietà, è fissata una soglia comune di esenzione soggettiva corrispondente a tre volte l'importo previsto dall'art. 76 del D.P.R 115/2002, pari ad euro 31.884,48. Oltre tale limite vale il contributo dell’art. 13, co.1, lett. a) del D.P.R. 115/2002[fn]www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_8_1.wp?previsiousPage=mg_1_8_1&contentId=SDC763490[/fn].
In generale, i contributo unificato, è una tassa (ha natura tributaria a tutti gli effetti) sulle cause civili e amministrative, che si paga all'inizio del procedimento al momento in cui si va a depositare la causa in tribunale per la iscrizione a ruolo), di solito in tabaccheria; è condizione, quindi, per la iscrizione a ruolo della causa.
Nei suoi termini generali: - è di importo diverso a seconda del valore e del tipo di causa; - per le cause ordinarie si segue una tabella prevista dalla legge che le divide, appunto, a seconda **del tipo di procedura e in alcuni casi anche a seconda del valore[fn]Il Contributo avrebbe dovuto rappresentare l'eliminazione dell'uso delle marche e la riunione di tutte le tasse sulle cause in un unico pagamento, ma la cosa è riuscita solo in parte. Infatti, al momento dell'iscrizione a ruolo della causa bisogna quasi sempre depositare anche una marca da 8 (non dovuta per i processi previdenziali) . Inoltre sull'atto vanno applicate le marche per notifica.[/fn]; - si applica per ciascun grado di giudizio; - è aumentato della metà per i giudizi di impugnazione; - è raddoppiato per i processi dinanzi alla Corte di Cassazione;- se il difensore non indica il proprio indirizzo di PEC e il proprio numero di fax o qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale, è aumentato della metà.
E’ notevole, insomma, l’intento di rispettare la sua funzione di tassa, differenziandolo in base alla complessità della causa e del disagio arrecato o non nella relativa gestione, restando a nostro avviso sullo sfondo l’obiettivo deflattivo volto a scoraggiare l’abuso del processo sul piano economico, anche se il valore del contributo potrà essere forse significativo soprattutto per le cause previdenziali e del lavoro.
4.3. Controversie previdenziali e regime delle spese nell’aggancio al gratuito patrocinio.
Con l’espressione regime delle spese si fa riferimento a un complesso di istituti che, accomunati dal fatto che incidono in vario modo sulla capacità e possibilità del soggetto di sostenere gli oneri di un giudizio nell’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, sono riferibili alle spese del precedente punto 4.2. rientranti fra le spese di giustizia, al gratuito patrocinio, all’esonero dalle spese di soccombenza.
Detto regime nelle controversie previdenziali e d’assistenza è disciplinato in modo diverso rispetto al rito ordinario poiché, mentre l’art. 91 c.p.c. dispone, in generale, che la parte soccombente rimborsi le spese di lite alla controparte vittoriosa, nel processo previdenziale si applica l’art. 152 disp. att. c.p.c. che, nella sua originaria formulazione, prevedeva l’esonero dalle spese di giudizio (e cioè l’esonero dal rimborso all’INPS o INAIL, per lo più delle spese) per il lavoratore che avesse intrapreso una causa previdenziale e fosse risultato soccombente nei confronti degli enti previdenziali.
La norma è stata modificata dall’art. 42, comma 11, d.l. 269/2003 (legge 326/2003) che dispone che, ferma restando la responsabilità processuale aggravata per lite temeraria, la parte soccombente non debba essere condannata alle spese di lite solo se sia titolare, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini Irpef pari o inferiore a due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi dell’art. 76, commi da 1 a 3, e 77 del T.U. in materia di spese di giustizia di cui al D.P.R. n. 115/2002[fn]L’art. 152 disp. att. c.p.c. così recita: “152. Esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali — Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo comunque quanto previsto dall'art. 96, primo comma, del codice di procedura civile, non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare, nell'anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall'ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l'importo del reddito stabilito ai sensi degli artt. 76, commi da 1 a 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115. L'interessato che, con riferimento all'anno precedente a quello d’instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni indicate nel presente articolo, formula apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell'atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell'anno precedente. Si applicano i commi 2 e 3 dell'art. 79 e l'art. 88 del citato testo unico di cui al d.p.r. n. 115 del 2002.[/fn].
Questo riferimento consente di richiamare l’altro dei tre aspetti della “gratuità ( o meno) dello stare in giudizio, riguardante non le spese “per il Tribunale” non le spese da rifondere alla controparte vincente ma le spese da sostenere per la propria assistenza legale. Soccorre a quest’ultimo riguardo Il riferimento è, dunque, alla legge sul gratuito patrocinio che individua il requisito per l’ammissione a quest’ultimo: - prendendo a riferimento il reddito dell’istante e, se convivente, dell’intero nucleo familiare risultante dallo stato di famiglia;- computando anche i redditi che per legge sono esenti dall’IRPEF (quali ad esempio, l’indennità di accompagnamento e la, rendita INAIL, la casa di abitazione …) o che siano soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo di imposta ovvero ad imposta sostitutiva.
E’ evidente, per inciso, come anche in questo caso possa essere auspicabile una riforma dell’ISEE che consenta di prendere a riferimento detto valore, meglio equilibrato in termini equitativi, anche per le questioni giudiziarie[fn]Il beneficio dell’esonero delle spese processuali resta legato, dunque, alle condizioni reddituali e, per usufruirne occorre formulare apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni del ricorso giudiziario con l’impegno a comunicare, finché il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatisi nell’anno precedente. nel gratuito patrocinio. L’art. 77 del d.lgs. 115 del 2002 prevede anche che l’importo complessivo dei redditi debba essere adeguato ogni due anni in relazione alla variazioni ISTAT. Di recente, la modifica è avvenuta da parte del Ministero della Giustizia con D.M. 20.01.2009 con una variazione che si riflette anche nelle controversie in materia di assistenza e previdenza.[/fn].
E’ evidente, inoltre, come il sistema sia stato profondamente modificato rispetto alla originaria impostazione che partiva da una considerazione di debolezza aprioristica assunta di fronte all’INPS del lavoratore per farne, anche in questo caso, un ”fatto di soldi”, di disponibilità economica dell’attore da valutare secondo i criteri del gratuito ispirati agli artt. 24 e 111 della Costituzione che riconoscono a tutti la possibilità di ricorrere al sistema giudiziario a tutela delle proprie ragioni[fn]L’accesso alla giustizia per la difesa delle posizioni giuridiche soggettive è un diritto fondamentale di ciascun individuo. L’art. 24 Cost. è correlato all’art. 111 Cost., il quale, al 1° comma, dispone che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.[/fn]. Nel quadro dei principi di attuazione del dettsto costituzionale in termini di compatibilità finanziaria, quindi, la normativa statale sulle spese di giustizia e sul gratutito patrocinio individua parametri convenzionali di “bisogno” in presenza dei quali l’interessato può far valere i propri diritti avvalendosi di legali, consulenti a quant’altro riconosciuto necessario spese dello Stato (dirette o con rimborso.
In questa sede ricognitiva richiamiamo questi temi - di primaria competenza dei legali delle parti anche per la necessaria consulenza e ponderazione dei casi – sempre al limitato scopo di far cogliere, pur grossolanamente, come l’instaurazione di un contenzioso con gli enti di previdenza sia continuamente “arricchito” di aggiustamenti, vincoli, percorsi obbligati che – in gran parte comuni ai giudizi civili in generale – confermano la volontà del legislatore di disincentivare il ricorso agli strumenti giurisdizionali quale meccanicistico percorso da esaurire con gravoso impegno, anche se con spese ridotte, di fronte al diniego di un diritto o prestazione.
4.4 .Controversie giudiziarie e pagamento delle spese
Con lo stesso obiettivo, un altro elemento da valutare – da parte di chi, come gli operatori di Patronato, abbia responsabilità d’informazione e consulenza a tutto campo, anche non solamente previdenziale - sono le questioni attinenti ad alcuni temi collegasti fra loro per il comune denominatore di essere potenziali fonti di costo per chi voglia o debba intraprendere un’azione legale e quindi anche per i lavoratori nei casi in cui non scattino i parametri di esonero prima citati oltreché per cause diverse da quelle previdenziali. Si tratta, fra l’altro di:
- Il tema della responsabilità delle parti per le spese (a chi spetta pagarle, insomma)
- Il tema dei danni processuali (quelli, cioè che una parte possa creare all’altra con il proprio comportamento processuale, indipendentemente dal merito della questione;
- La questione dei connotati e limiti dell’abuso del processo[fn]Esula dalle finalità di questa nota l’approfondimento del tema dell’abuso del processo, filiazione dell’abuso di diritto, per il quale si legge che il Supremo Collegio ha ricordato che è ormai acquisita una nozione minima comune dell’abuso del processo, che riposa sull’altrettanto consolidata nozione generale dell’abuso del diritto, riconducibile al paradigma dell’uso per finalità oggettivamente diverse rispetto all’interesse in funzione del quale il diritto è riconosciuto. Il carattere generale del principio dipende dal fatto che ogni ordinamento che aspiri all’ordine tende a darsi misure di autotutela, al fine di evitare che i diritti da esso garantiti siano esercitati o realizzati in maniera abusiva, ovvero eccessiva o distorta. In ambito sovranazionale l’articolo 35 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo cui la Corte di Strasburgo dichiara irricevibile ogni ricorso incompatibile con le disposizioni delle Convenzioni e dei suoi Protocolli, consente, secondo un’interpretazione ormai consolidata, di ritenere «abusivo» il ricorso quando la condotta ovvero l’obiettivo del ricorrente sono manifestamente contrari alla finalità per la quale il diritto di ricorrere è riconosciuto. In altri termini, è abusivo qualsiasi comportamento del ricorrente manifestamente contrario alla vocazione del diritto di ricorso stabilito dalla Convenzione e che ostacoli il buon funzionamento della Corte: A. Marino, L'abuso del processo su http://www.specchioeconomico.com/201204/mariniG.html.[/fn].
E’ un insieme di questioni tutte collegate fra loro, di estrema delicatezza per i principi di ordine generale che coinvolgono e per le tesi che sul piano teorico si confrontano sui vari addendi di questa complessità.
Per questo, riguardo al primo dei tre aspetti ora richiamati il legislatore ha ritenuto di mantenere fermo il criterio della soccombenza (paga chi perde la causa) senza far prevalere considerazioni legate al livello di responsabilità (colpevole o dolosa) del perdente o altri criteri. Più in generale, poi, con alcuni correttivi si cerca di colpire comunque l’utilizzo abusivo della giurisdizione per la soluzione dei conflitti, ovvero garantirne, lite pendente, un sicuro approdo ad una rapida decisione, scevra da comportamenti dilatori, sleali e scorretti; senza escludere, quindi, la opportunità di ridimensionare l’esclusività del criterio di soccombenza con altri criteri, ugualmente idonei a condannare le condotte abusive della parte, prima e nel corso del processo[fn]Così l’art. 92, comma 2, c.p.c. permette al giudice, in presenza di “gravi ed eccezionali ragioni”, di compensare in tutto o in parte le spese del giudizio; non solo, ma con la Legge 18 giugno 2009, n. 69, il legislatore è intervenuto sul secondo comma dell’art. 92 c.p.c., allo scopo di moderare il potere del giudice nella compensazione tra le parti delle spese del giudizio, prevedendo che la compensazione possa avvenire non più in presenza di “giusti motivi” ma soltanto in presenza di “altre gravi ed eccezionali ragioni”. Detto articolo c.p.c., nella formulazione originaria, consentiva al giudice di compiere la compensazione delle spese nell’ipotesi di soccombenza reciproca in presenza di “giusti motivi”, senza, tuttavia, precisare se gli stessi dovessero o meno essere specificati in motivazione lasciando così ampio spazio alla discrezionalità del giudice. .La Legge 18 giugno 2009, n. 69 è intervenuta sul testo dell’art. 92, secondo co., c.p.c., non per rendere obbligatorio il controllo sulla congruità della motivazione della compensazione delle spese di lite, ma rimpiazzando la clausola generale che fissava il relativo potere alla sussistenza di “giusti motivi” e riconducendolo alla ricorrenza di “gravi ed eccezionali ragioni”.La riforma è ispirata non solo da finalità deflattive del contenzioso per togliere alla parte soccombente ogni benevola speranza di compensazione delle spese in caso di proposizione o prosecuzione di azioni giudiziarie pretestuose o infondate, ma anche dallo scopo di limitare gli ambiti di discrezionalità del giudice confinando il potere di compensare le spese in ambiti ristretti ed eccezionali. La Legge 18 giugno 2009, n. 69 ha, inoltre, inciso profondamente sul sistema della responsabilità processuale aggravata, introducendo un terzo comma all’art. 96 c.p.c., secondo cui “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. Ipotesi diversa, giova aggiungere, da quelle tradizionali di responsabilità processuale aggravata, non essendo indispensabile che la parte vittoriosa abbia subito un danno a causa del processo ma che dimostri, anche in via presuntiva, di aver subito un pregiudizio e che “il carattere temerario della lite, che costituisce l’indefettibile condizione perché possa configurarsi la responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c. (va ravvisato nelle ipotesi in cui una parte abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, dovendosi riconoscere siffatti stati psicologici quando la parte abbia agito o resistito nella coscienza dell’infondatezza della domanda o delle tesi difensive sostenute, ovvero nel difetto dell’ordinaria diligenza nell’acquisizione di detta consapevolezza»[/fn].
In questa ricerca di nuovi equilibri, di recente, il Legislatore ha ribadito l’interesse per il tema dell’abuso dello strumento processuale e per la necessità di un migliore equilibrio della relativa disciplina che eviti, in ogni caso, la piena discrezionalità del giudice con il D.M. 140/2012 e con la legge 132 dello stesso anno che si riportano in nota[fn]Ed invero, il Decreto del Ministero della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 195 del 22 agosto 2012) ha previsto, all’art. 4, comma VI, che “costituisce elemento di valutazione negativa, in sede di liquidazione giudiziale del compenso, l'adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli”. L’art. 10 (“Responsabilità processuale aggravata e pronunce in rito”) dispone che “nel caso di responsabilità processuale, ai sensi dell'articolo 96 del codice di procedura civile, ovvero, comunque, nei casi d’inammissibilità o improponibilità o improcedibilità della domanda, il compenso dovuto all'avvocato del soccombente è ridotto, di regola, del 50 per cento rispetto a quello liquidabile a norma dell'articolo 11” (“Determinazione del compenso per l’attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria”). Quest’ultimo articolo dispone che “il giudice può sempre diminuire o aumentare ulteriormente il compenso in considerazione delle circostanze concrete, ferma l'applicazione delle regole e dei criteri generali di cui agli articoli 1 e 4”. Inoltre, la Legge 7 agosto 2012, n. 134 (di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese) ha previsto, tra le altre, misure urgenti per la giustizia civile (artt. 54, 55 e 56). Quivi è ulteriormente specificato che “non è riconosciuto alcun indennizzo in favore della parte soccombente condannata a norma dell'articolo 96 del codice di procedura civile e in ogni altro caso di abuso dei poteri processuali che abbia determinato una ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento”.[/fn].
In generale, comunque, l’intero impianto frutto dei provvedimenti degli ultimi tre anni conferma la scelta per un regime volto a disincentivare l’abuso del diritto – ma anche, aggiungiamo noi, lo stesso uso per valori che ne valga la pena[fn]Con questa finalità è coerente il disposto dell’art. 38 della legge98/2011 che al 1° comma prevede che “Al fine di realizzare una maggiore economicità dell’azione amministrativa e favorire la piena operatività e trasparenza dei pagamenti, nonché deflazionare il contenzioso in materia previdenziale, di contenere la durata dei processi in materia previdenziale, nei termini di durata ragionevole dei processi, previsti ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a) i processi in materia previdenziale nei quali sia parte l’INPS, pendenti nel primo grado di giudizio alla data del 31 dicembre 2010, per i quali, a tale data, non sia intervenuta sentenza, il cui valore non superi complessivamente euro 500,00, si estinguono di diritto, con riconoscimento della pretesa economica a favore del ricorrente. L’estinzione è dichiarata con decreto dal giudice, anche d’ufficio. Per le spese del processo si applica l’articolo 310, quarto comma, del codice di procedura civile.[/fn]. - allo scopo di ottimizzare, anche nell’ottica del contenimento della spesa pubblica, l’uso della giustizia civile.
Invero, l’abuso delle risorse (umane e finanziarie), alterando il sistema della giustizia, provoca disservizi e inefficienze del sistema pubblico di definizione delle controversie. Da ciò la scelta di non agire sulle cause endogene del sistema giustizia ma di colpevolizzarne – in definitiva- gli utenti con aumento delle spese, con il rendere defatiganti i percorsi, accrescendo comunque il ruolo di intermediari, professionisti ecc., abbattendo diritti e livelli di tutela, accrescendo i costi (certi e incerti in quanto legati all’esito del giudizio), eliminando di fatto fasi del percorso giurisdizionale, provando a far passare l’obbligatorietà della mediazione civile (vanificata dal pronto intervento della >Consulta. Fingendo, per quanto più direttamente riguarda i tempi previdenziali che si possano fare centinaia di migliaia di controlli medico legali con le ridotte forze disponibili in INPS, enfatizzando il ruolo dei CTU facendo dimenticare come gli stessi sono scelti al di fuori di statistiche circa la coincidenza dell’oggetto della consulenza con la professionalità specifica.[/collapse]
[collapse collapsed title=5. Il giudizio di Appello: una fase ormai solo eventuale?]
Il giudizio di Appello: una fase ormai solo eventuale?
Queste linee di tendenza trovano conferma e solida espressione nell’intervento legislativo in tema di giudizio di Appello le cui le modifiche interessano tanto il giudizio di cognizione ordinaria che il giudizio del lavoro per quanto riguarda, essenzialmente.
5.1) l’onere di motivare, in base all’articolo. 342 c.p.c., l'appello
indicando - a pena d’inammissibilità 1) le «parti del provvedimento che s’intende appellare e delle modifiche che sono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primogrado»; 2) «l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata». Si tratta di un orientamento giurisprudenziale che la nuova normativa trasforma in un requisito di contenuto forma dell'atto introduttivo stringente e capace di determinarne l'inammissibilità da dichiarare peraltro con sentenza.)
5.2.) la limitazione alla produzione di prove (art. 345 c.p.c.).
Altrettanto limitativa delle potenzialità dell’appello è altresì la modifica apportata al terzo comma dell’art. 345 c.p.c. con riferimento alle nuove prove ammissibili. E’, infatti, soppressa la possibilità per il collegio di ammettere i nuovi mezzi di prova e i documenti ritenuti «indispensabili ai fini della decisione della causa», con la conseguenza che l’unico margine per l’integrazione probatoria è affidato alla ricorrenza del caso fortuito o della forza maggiore.
La disposizione preesistente, invece, rimetteva al prudente apprezzamento del giudice collegiale ed utilizzata in modo avveduto consentiva all’appello di svolgere un’effettiva funzione di “miglioramento” della decisione consentendo l’acquisizione d’istrumenti di prova dotati «di un’influenza causale non soltanto rilevante, ma determinante nella soluzione finale della controversia» (C. Stato, 10 novembre 2011, n. 5943). In mancanza di tale garanzia – a opinione del Supremo collegio – si giunge a «snaturare il giudizio di primo grado, che finirebbe con lo svolgersi sulla base di elementi parziali» (Cassa. civ., ord., 6 marzo 2012, n.3506).
5.3.) Il nuovo filtro in appello
Proseguendo lungo la via percorsa da una vertenza previdenziale (ma in questo caso, diversamente dall'ATP di tutte le vertenze) e fermo restando che come abbiamo visto la decisione scaturente direttamente o per ricorso dall’ATP è inappellabile[fn]Sull’ATP, per questo tema e in generale v. anche Massimiliano Morelli su http://www.giustiziadellavoro.it/articolo.php?pg=196[/fn] , si ritiene che l’istituto qualificante dell’intera manovra sia senz’altro un istituto che pur non toccando in modo specifico ed esclusivo i temi del contenzioso previdenziale e assistenziale, è destinato a modificare profondamente l’iter generale del sistema.
Si tratta del c.d. nuovo filtro in appello che rientra in modo trasparente nell’alveo generale delle procedure civili volto a ridimensionare il contenzioso e decongestionarne i vari livelli in attesa, riteniamo, che procedure più semplici e meccanismi gestionali migliorati consentano di evitare il ricorso a tagli lineari, come questi in esame.
Può sembrare, quest’ultimo, un obiettivo utopico e tendenziale, una specie di araba fenice, a fonte delle urgenze finanziarie che nel recente passato e nel presente sembrano giustificare tutto e il contrario di tutto con il comune denominatore di ridurre le spese pubbliche, ridimensionare i costi della gestione.
Obiettivi certamente doverosi ma altrettanto certamente non realizzabili con tagli lineari o alchimie procedimentali tenuto conto, oltretutto, del fatto che a fronte delle semplificazioni si moltiplicano con pari ritmo si moltiplicano le figure di danno, ad esempio, le possibilità di azioni collettive e non a difesa di interessi vari, spesso agevolmente riferibili a valori costituzionalmente garantiti, con crescente affanno del legislatore nel rincorrere le nuove fattispecie, quasi sempre per limitare i danni per il sistema assicurativo come nel caso delle limitazione dei livelli di responsabilità per colpa medica.
In questo contesto si collocano le norme che introducono un filtro di ammissibilità per il giudizio di secondo grado. inserendo nel codice di procedura civile l'articolo 348-bis, che fissa una regola del tutto nuova: “fuori dei casi in cui l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello deve essere pronunciata con sentenza, l'impugnazione va dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta. Dopo la prima udienza di comparizione e prima della trattazione, insomma, il giudice di secondo grado dovrà formulare una prognosi circa la ragionevole probabilità di accoglimento.La prognosi del giudice sulla ragionevole probabilità di accoglimento si fonda quindi, sulla valutazione circa la necessità o meno di rinnovazione istruttoria, sugli stessi atti sui quali si basa la sentenza di merito".
Si vuole dunque imporre al giudice di secondo grado un giudizio preliminare e sommario, diretto a verificare se l'impugnazione presenti una scarsa consistenza argomentativa dei motivi di appello o una mera ripetizione di questioni già esaminate dal giudice di primo grado.
Per quanto riguarda la sorte della valutazione ponderale,
• qualora il giudice d’appello ritenga che l’impugnazione non abbia «ragionevole probabilità di essere accolta» ne dichiarerà l’inammissibilità con ordinanza, spogliandosi della causa. In tal caso, la decisione di primo grado sarà ricorribile per cassazione.
• nel caso d’impugnazione presumibilmente fondata, al contrario, la controversia sarà trattata more solito senza bisogno di assumere provvedimenti intermedi. In caso di accoglimento dell’impugnazione da parte della suprema Corte, la causa proseguirà secondo le norme del giudizio di rinvio (art. 383).
Il nuovo “filtro” non trova applicazione se:
a) l'appello è proposto a proposito di una delle cause di cui all'articolo 70, primo comma, ossia nel caso di intervento obbligatorio del pubblico ministero;
b) l'appello è proposto a norma dell'articolo 702-quater, ossia riguarda una controversia decise secondo le forme del procedimento sommario di cognizione.
A prescindere da più complessive valutazioni sull’interno impianto della riforma, l’assoluta discrezionalità del giudice nella valutazione della trattazione dell’appello è valutata del tutto negativamente dalla generalità dei commentatori, al punto da far ritenere l’appello – aggiungiamo noi - una fase del tutto eventuale sia rispetto alla oggettiva portata delle argomentazioni sia alla discrezionalità – nemmeno arbitrio – del giudice nel valutarle come parte in causa che deve decidere se continuare o meno il giudizio (senza nemmeno il conforto di una valutazione “terza nemmeno nella forma ridotta dell’analogo istituto del giudizio in Cassazione (v. poi).
D’altra parte, è il prezzo da pagare per “tagli lineari” e riforme che partendo da esigenze e motivazioni giuste, devono essere (o si vogliono ?) affrontate sotto la spinta di urgenze di vario tipo, con inevitabile sottovalutazione di profili di equità o rispetto di valori costituzionali che restano rigidi ed espongono le riforme o parti di esse a dubbi o certezze di incostituzionalità, come già si profila per l’altro punto caldo del nuovo processo civile, l’Accertamento tecnico preventivo.
Né può trascurarsi – restando al merito delle cose – la circostanza che per settori del diritto fortemente “pretori”, come l’assicurazione infortuni sul lavoro” - questo meccanismo, unito ad altri strumenti volti a scoraggiare la molteplicità di gradi di giudizio, finisca per ridimensionare la ricchezza di percorsi evolutivi di cento anni di storia. Nessuna speranza, ad esempio di una nuova giurisprudenza di merito sugli infortuni degli artigiani nell’esercizio delle loro mansioni manageriali.[/collapse]
[collapse collapsed title=6. Il Mini filtro in Cassazione.]
Il Mini filtro in Cassazione.
Il disegno riformatore è completato, infine, da una sorta di ulteriore filtro per il giudizio in Cassazione, che – senza inibirne l’attivazione – limita peraltro le possibili censure alla decisione di merito.
La riforma, infatti, modificando il testo dell’art. 360 c.p.c., 1° comma, n.5 - esclude che la sentenza di merito possa essere censurata «per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione», come originariamente previsto con una norma che – è stato osservato – “dotava di effettiva sanzione il precetto costituzionale di cui all’art. 111 Cost. secondo il quale «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati»[fn]Celotti. Il nuovo filtro in Cassazione. Vedi anche anche Il "filtro" al ricorso in cassazione e la prima pronuncia delle Sezioni unite di Antonio Carratta pubblicato su Sito Web www.treccani.it[/fn].
Invece, la modifica introdotta prevede che, per quest’aspetto, si possa contestare in sede di legittimità solo l’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» con una formulazione che, è stato osservato, rievoca altri vizi quale l’omissione di pronuncia o l’errore revocatorio.
Con un articolo 360-bis, poi, precisa che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile se un’apposita Sezione della Corte, formata nei modi specificati dalla stessa riforma, valuti che: il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offra elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa; - sia manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo.[/collapse]
[collapse collapsed title=7. Una riflessione.]
Una riflessione: solo un accenno in attesa di nuovi orizzonti di scelte politiche.
La situazione non è molto dissimile da quella del filtro in appello e, in definitiva, allo stesso “filtro in primo grado” costituito dall’ATPO con tre momenti legati fra loro da un unico disegno che tende a limitare lo “spreco” – ci sia consentita l’espressione – che secondo il legislatore riguarda risorse professionali, tecniche e finanziarie concorrendo al disagio del sistema di giustizia civile del nostro Paese.
Certamente, il meccanismo, pur criticato in modo diffuso nei sauoi contenuti di merito, trova consensi in quanti ritengono che lo stesso Paese non possa permettersi un sistema giudiziario con tre gradi, se non più nella sostanza. Il tuto aggravato dal continuo esplorere di nuovi filoni di interesse giudiziario, in materia di danni fra tutti. Con ulteriori impegni per il sistema che da decenni si dice sia arrivato al collasso e che, quindi, dato il tempo trascorso dovrebbe ritenersi morto senza che nessuno se ne sia accorto, tranne i cittadini e le imprese che devono fare continuamente i conti con una giustizia civile che non c’è.
Da ciò la tentazione di guardare con favore a interventi come quelli sommariamente richiamati che possono decongestionare il sistema, con il grave inconveniente – secondo noi – di muoversi non lungo le direttrici giuridiche. organizzative e professionali dello stesso ma dall’esterno con chiare motivazioni finanziarie che sembrano individuare la causa di tutti i mali nei comportamenti dei cittadini che chiedono giustizia in modo improprio, arbitrario, speculando su disservizi ecc.
E’ la stessa filosofia della lotta ai falsi invalidi e del freno alle pensioni facili di invalidità che si intende imporre con strumenti oggettivamente vessatori, di là dalle intenzioni amministrative, senza considerare le possibilità di smaltimento “accurato” delle pratiche da parte degli uffici e ignorando quale sia la situazione di fatto nei tribunali dei Consulenti tecnici di uffici.
Nel merito dei singoli problemi, quale contributo di approfondimento segnaliamo in allegato una serie di link a sitit ed interventi di approfondimento, generalmente critici rispetto alle situazioni adottate, in special modo per l’ATPO rispetto al quale, ed ai suoi aspetti di incostituzionalità (per i quali di rinvia all’apposito focus su questo Sito) l’impegno dei professionisti legali, del Foro di Roma, fra l’altro, ha convinto il Tribunale di Roma sulla necessità di sottoporre la questione alla Corte costituzionale di cui si attende ora un conclusivo intervento chiarificatore.
Resta più in generale, il rammarico per un modo distorto e fuorviante di affrontare i temi della sicurezza sociale, nei contenuti di servizio ed anche per i profili del contenzioso amministrativo e giudiziario per la dichiarata intenzione di trasformare iniziative di salvataggio finanziario, come tali da non discutere, sistematicamente come intervento equitativo volto a colpire i falsi invalidi, i furbetti dei processi, gli approfittatori del sistema di sicurezza sociale. Con la conclusione che ancor oggi si segnalano in prima serata televisiva episodi di falsi ciechi, non si parla più di evasori, lotta all’evasione, casi esemplari di truffatori dello Stato, della collettività.[/collapse]
Pasquale Acconcia