Rimessa alla Corte Costituzionale la questione della capacità di donare del beneficiario di amministrazione di sostegno (Tribunale di Vercelli, ord. del 19.2.2018)
Classificazione sul sito della Corte Costituzionale:
Reg. ord. n. 64 del 2018 pubbl. su G.U. del 26/04/2018 n. 17
Ordinanza del Tribunale di Vercelli del 19/02/2018
Notifica del 21/02/2018
Tra: B. A. Oggetto:
Capacità giuridica e di agire - Amministrazione di sostegno - Capacità di donare - Donazione, con le forme abilitative richieste, da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno - Mancata previsione - Denunciata irragionevole compressione del pieno sviluppo della personalità umana - Violazione del principio di eguaglianza. Norme impugnate: codice civile art. 774. comma 1 Parametri costituzionali: Costituzione artt. 2 e 3
Il giudice del Tribunale di Vercelli si domanda se non vi sia un omissione del Legislatore laddove, nel predisporre la tutela dell'amministrazione di sostegno, non ha considerato l'interesse dell'amministrato a compiere atti di liberalità coerenti con la realizzazione del proprio progetto di vita e familiare.
Marco Aquilani, 20.05.2018
Il testo dell'atto
Tribunale di Vercelli, ordinanza del 19 febbraio 2018
Tribunale di Vercelli, ordinanza del 19 febbraio 2018
Capacita' giuridica e di agire - Amministrazione di sostegno - Capacita' di donare - Donazione, con le forme abilitative richieste, da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno - Mancata previsione.
(in GU 1ª Serie Speciale - Corte Costituzionale n.17 del 26.4.2018)
TRIBUNALE DI VERCELLI
Il Giudice Tutelare
In persona del Magistrato dott. Carlo Bianconi,
pronunciando a scioglimento della riserva assunta all'esito dell'udienza del 23 gennaio 2018;
letti gli atti della procedura di amministrazione di sostegno nell'interesse di A. B.,, nata a..... il..., ivi residente, ma dimorante in... presso la struttura;
letta l'istanza depositata in data 1° dicembre 2017 dall'amministratore di sostegno, P. B., sorella della beneficiaria, e volta ad ottenere l'autorizzazione del Giudice tutelare in ordine alla richiesta di «porre in essere in favore di C. F., figlia dell'amministrata, una donazione di modico valore, tramite la corresponsione della somma di euro 10.000,00»;
Osserva quanto segue.
Questo Giudice tutelare, letta l'istanza e svolta l'istruttoria di rito, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 774, comma 1, del codice civile, nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte dei beneficiari di amministrazione di sostegno.
Il fatto
Il Tribunale di Casale Monferrato (oggi accorpato all'ufficio in intestazione), in data 8 novembre 2006 ed in persona del Giudice tutelare, disponeva l'apertura della amministrazione di sostegno a tempo indeterminato in favore della beneficiaria A. B.
Osservava come la medesima, «in seguito a sanguinamento intracranico - E.S.A. con inondamento ventricolare del 13 agosto 2006, attualmente alterna momenti di vigilanza a momenti di sapore, esegue ordini, accenna a risposte verbali e presenta movimenti spontanei, cosi' da essere impossibilitata a provvedere ai propri interessi, necessitando di assistenza».
Nominava all'Ufficio la di lei sorella, P. B.
Conferiva alla medesima il potere di «compiere tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, previa autorizzazione del Giudice Tutelare per questi ultimi, in nome e per conto della beneficiaria; di occuparsi della gestione del c/c n. presso la Banca... filiale di... e del n.... presso la Banca intestati alla beneficiaria; nonche' compiere tutti gli atti necessari ed opportuni per la tutela della salute della beneficiaria».
Prevedeva quindi un obbligo di relazione annuale sulle condizioni di vita personale e sociale, oltre che sull'attivita' svolta.
Con istanza del 1° dicembre 2017, sulla quale questo Giudice e' oggi chiamato a provvedere, l'ADS, assistito dall'Avv. Maria Grazia Strami Ferrini del Foro di Vercelli, esponeva che:
il saldo attivo del conto corrente della beneficiaria acceso presso la (odierna) B. I., fosse pari ad €... alla data del 3 novembre 2017;
la beneficiaria fosse altresi' titolare di un conto deposito titoli del valore di €... alla medesima data;
la beneficiaria avesse due figli maggiorenni ed economicamente indipendenti, M. C. e F. C.;
l'amministratore di sostegno, su suggerimento della figlia della beneficiaria e facendosi interprete della volonta' di quest'ultima («che mai negherebbe, potendolo fare, un aiuto economico ai propri figli») , avesse in animo di corrispondere alla figlia medesima, in procinto di sposarsi «nel corso del 2018», «una somma che le consenta di far fronte alle proprie necessita', senza con cio' voler condizionare la liberalita' alla celebrazione del matrimonio»;
la somma «opportuna allo scopo sopra prefigurato» dovrebbe calcolarsi in €...;
la medesima somma andrebbe «messa a riserva» nell'interesse dell'altro figlio della beneficiaria;
tale(i) esborso(i) sarebbe(ro) sostenibile(i) dalla beneficiaria, in ragione della capienza del suo patrimonio; essi rappresenterebbero altresi' donazioni di valore modico ex art. 783 del codice civile, con conseguente superfluita' di forme sacramentali, ferma la necessita' di traditio;
l'amministratore di sostegno argomentava, in punto di diritto, circa la possibilita', per un beneficiario di amministrazione di sostegno, di effettuare donazioni;
questi, infatti, seppur limitato nell'autonomia negoziale, non diverrebbe mai formalmente incapace, non essendoci nell'amministrazione di sostegno pronuncia costitutiva, al contrario di quanto avviene nell'interdizione e nell'inabilitazione;
scopo della misura in parola e' quello di permettere al beneficiario di superare le limitazioni che questo incontri, a causa della patologia, per soddisfare appieno le sue esigenze ed aspirazioni, che, altrimenti, verrebbero frustrate; cio' dovrebbe avvenire con l'assistenza dell'amministratore, o anche in via di sostituzione, ferma restando la necessita' di ottenere specifica autorizzazione giudiziale per quegli atti, tra cui rientrerebbe la donazione, previsti dagli articoli 374 e 375 del codice civile.
Concludeva quindi con la richiesta di cui all'epigrafe, volta ad autorizzare l'Ads, in via di sostituzione e nell'interesse, in nome e per conto della beneficiaria, a «porre in essere in favore di C. F., figlia dell'amministrata, una donazione di modico valore, tramite la corresponsione della somma di euro...».
Il Giudice scrivente fissava l'udienza 23 gennaio 2018 per sentire le parti interessate.
In tale sede, l'Ads si riportava alla istanza in atti.
La beneficiaria, presentatasi a bordo di una carrozzina, dichiarava:
di andare d'accordo con la sorella, Ads, e con i figli, oltre che con il compagno della figlia, futuro genero;
di essere molto contenta del progetto matrimoniale della figlia;
di non ricordare la data fissata per le nozze;
di voler fare alla figlia «un bel regalo», che fosse «una sorpresa» [tant'e' che il Giudice scrivente invitava la figlia della beneficiaria ad uscire momentaneamente dall'aula], e che consistesse in un «aiuto economico»;
di non avere una idea precisa della cifra da col rispondere, ma che le piacerebbe che con i soldi la figlia potesse «comprare una cucina»;
di avere riflettuto sul fatto di avere un altro figlio e che «bisogna fare uguale»;
concludeva «l'esame» proferendo la frase «so perche' siamo qua, non e' stato un disturbo per me venire, era per fare un regalo e contribuire al matrimonio di mia figlia».
Gli altri presenti, ossia i due figli, confermavano la genuinita' degli intendimenti della beneficiaria, e chiedevano autorizzarsi il negozio; la figlia, in particolare, si diceva «emozionata dal gesto della mamma».
Il Giudice scrivente si riservava per la decisione, invitando contestualmente l'Ads a depositare la relazione annuale, contenente rendiconto economico, per l'anno 2017.
L'Ads provvedeva in data 30 gennaio 2018.
Dalla relazione emergeva come alla data del 31 dicembre 2017 la beneficiaria fosse ancora afflitta dai postumi di emorragia subaracnoidea con rottura di aneurisma cerebrale, con necessita' di assistenza continuativa.
Dal rendiconto emergeva come alla data del 31 dicembre 2017, il compendio patrimoniale della beneficiaria constasse di €... (quanto al saldo attivo del conto corrente), di €... (quanto al controvalore degli investimenti mobiliari), di €... (quanto alla liquidita' di cassa), e come esso fosse da sempre privo di altri cespiti immobiliari e mobiliari.
Quadro normativo
La decisione sull'istanza sconta la preliminare difficolta' di dirimere la questione in ordine alla ammissibilita', nel nostro ordinamento, di una donazione posta essere da un soggetto beneficiario di amministrazione di sostegno.
La fattispecie non e' disciplinata espressamente da norme di diritto positivo.
Essa non e' stata fatta oggetto di pronunce della Corte di Cassazione.
L'argomento e' stato, ad oggi, unicamente affrontato in sede dottrinale e dal a giurisprudenza di merito che si citera' nel prosieguo.
L'art. 774, comma 1, del codice civile prevede che «non possono fare donazioni coloro che non hanno la piena capacita' di disporre dei propri beni».
Eccezioni a tale regola sono previste dal secondo periodo della norma, con riferimento ai minori ed agli inabilitati, in relazione al loro contratto di matrimonio; medesime regole ed eccezioni sono previste per i minori emancipati ed abilitati all'esercizio di impresa commerciale dal secondo comma della norma. Ulteriore eccezione e' prevista dal secondo comma dell'art. 777 del codice civile, a mente del quale sono consentite, con le forme abilitative richieste, le liberalita' in occasione di nozze a favore dei discendenti dell'interdetto o dell'inabilitato.
L'art. 776, dal canto suo, non prevede una eccezione alla regola generale, ma fissa piuttosto, sul piano della disciplina, una presunzione juris et de jure circa la annullabilita' delle donazioni fatte dall'inabilitando (poi inabilitato), in epoca prossima o coeva alla celebrazione del giudizio di inabilitazione.
Per i beneficiari di amministrazione di sostegno, dunque, la norma di diritto positivo applicabile e', e resta, l'art. 774, comma 1, del codice civile.
La soluzione della questione, dunque, passa attraverso il vaglio interpretativo della questione se i medesimi abbiano, o meno, una «piena capacita' di disporre dei propri beni».
Parte della dottrina, e della giurisprudenza di merito (cui aderisce l'Ads oggi istante), ritiene di dare soluzione positiva al quesito.
Si ricorda in particolare una pronuncia del Giudice tutelare presso il Tribunale di La Spezia (decreto 1° ottobre 2010, in NGCC 2011 parte prima, pagg. 77 e sgg.), secondo il quale, in sintesi: il beneficiario di amministrazione di' sostegno, se pure puo' venire limitato nella sua autonomia negoziale, non di meno non diviene mai formalmente incapace (non si pronunzia sentenza costitutiva di limitazione totale o parziale della capacita');
devesi ritenere che sicuramente nell'amministrazione di sostegno il beneficiario possa liberamente fare donazione, salvo che il giudice ritenga di dover inserire nel decreto la limitazione a tale facolta', ex art. 411, comma 4 del codice civile;
cio' sulla base dello spirito e della impostazione della legge n. 6/2004; in tale ottica, devono privilegiarsi soluzioni ermeneutiche che conservino facolta' e poteri in capo al beneficiario, laddove non vi siano divieti di legge o limitazioni ex decreto del Giudice;
non pare decisivo obiettare che la donazione e' atto personalissimo, che non ammette sostituzione, posto che viene ammessa amministrazione sostitutiva per certi atti personalissimi (ad es. rilasciare il consenso informato).
Questo Giudice rimettente non condivide pienamente i presupposti della decisione appena riportata.
Dal punto di vista esegetico, e' infatti discutibile partire dal presupposto che la «piena capacita' di disporre dei propri beni», di cui parla la norma oggetto di rilievo, coincida in toto con la capacita' di agire, normalmente intesa come la capacita' di compiere atti giuridici, tali da incidere sul piano personale e patrimoniale.
Essa, semmai, ne rappresenta una specificazione ulteriore, dettata dall'obiettivo della massima tutela patrimoniale di colui il quale, per le piu' varie ragioni, non sia in grado di rendersi pienamente conto della portata dell'atto dispositivo.
Caso emblematico e' quello rappresentato dalla summenzionata categoria dei minori emancipati abilitati all'esercizio di impresa commerciale; tale categoria di soggetti disparte i rilievo dell'esiguo novero di essi), dal punto di vista normativa e pienamente capace di agire: cio' e' affermato a chiare lettere dal combinato disposto degli articoli 394, comma 1 del codice civile (quanto alla ordinaria amministrazione patrimoniale) e 397, u.c., del codice civile (quanto alla straordinaria amministrazione patrimoniale, anche esulante dall'esercizio della impresa).
Nondimeno, essi non sono ammessi a donare, se non in riguardo del loro contratto di matrimonio: non avrebbe altrimenti senso la lettera dell'art. 774, comma 2, del codice civile.
I concetti di piena capacita' di disposizione dei beni, e di piena capacita' di agire, dunque, per il Legislatore, sembrano avere una diversa estensione applicativa: in particolare, la integra capacita' di agire rappresenterebbe un quid minus rispetto alla pienezza della capacita' dispositiva.
In ogni caso, anche a voler ritenere coincidenti tali concetti, neppure convince la interpretazione - invero invalsa in Dottrina e in parte della giurisprudenza - secondo cui il beneficiario di amministrazione di sostegno «mai diverrebbe formalmente incapace».
Ritiene chi scrive che una ablazione, anche parziale, e financo minima, della capacita' di agire del beneficiario costituisca infatti indefettibile risultato della applicazione della misura di protezione in parola.
Cio', in primis, per ragioni letterali.
L'art. 1, legge n. 6/2004, istitutiva della amministrazione di sostegno, nel disporre che «La presente legge ha la finalita' di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacita' di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia [...]», implicitamente afferma come una limitazione della predetta capacita', per quanto minima, necessariamente consegua all'applicazione dell'istituto.
Ma l'assunto e' asseverato con ancora maggiore chiarezza dalla lettura del combinato disposto degli articoli 405, comma 5, nr. 3) 4), del codice civile da un lato e dell'art. 409, comma 1, del codice civile, dall'altro.
Le prime due norme impongono, quale contenuto necessario (peraltro implicitamente alternativo) del decreto di nomina, l'indicazione: i) degli atti che l'Ads ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario; ii) degli atti che il beneficiario puo' compiere solo con l'assistenza dell'Ads.
Tratteggiano, in altre parole, le fattispecie generalmente descritte in termini di amministrazione sostitutiva con rappresentanza esclusiva dell'Ads (prima norma), e di amministrazione concorrente in assistenza (seconda norma).
L'art. 409, comma 1, del codice civile, dall'altro lato, espressamente prevede che «il beneficiario conserva la capacita' di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno».
E' evidente, dal punto di vista letterale, ancor prima che sotto un profilo logico, che se la previsione di atti da compiersi in rappresentanza o in assistenza integri parte del contenuto indefettibile del decreto; e che se solo in relazione ad ogni attivita' diversa dalle predette il beneficiario conserva la capacita' di agire; allora il beneficiario subisce immancabilmente una deminutio della sua capacita', per il solo fatto dell'apertura della misura.
A tale conclusione, peraltro, si arriva anche attraverso una interpretazione di ordine sistematico.
E' infatti irrazionale ipotizzare un controllo giudiziale sull'operato di un Ads incaricato di assistere un soggetto in toto capace di agire (basterebbe, a tal fine, la stipula di un mandato, con esercizio in capo al mandante, dei poteri di controllo e supervisione di cui agli articoli 1712 e 1713 del codice civile): ne', proprio per tale motivo l'assistenza di cui sopra potrebbe giammai essere ricostruita in termini, del tutto indefinibili, di consiglio, blandizia, suggerimento, conforto, pena lo svuotamento del contenuto del munus conferito, e la sua insindacabilita' de facto (con concreta inapplicabilita', tra le altre, delle norme di cui agli articoli 343 del codice civile; 405, comma 5, n. 6 del codice civile, 44 disp. att. del codice civile, etc.).
Molto piu' corretto appare invece tratteggiare l'assistenza in termini di compartecipazione riscontrabile dell'Ads al compimento di negozi giuridici apprezzabili nella loro essenza ed esistenza, ed altrimenti invalidi (ex art. 412 del codice civile).
Si pensi, in via di esempio, alla sottoscrizione congiuntiva di un negozio o di una procura ad litem, alla costituzione congiunta innanzi ad un Notaio all'atto di una stipula, alla compresenza dei medesimi ad un'udienza, e cosi via: non senza osservare, una volta di piu', come tali ipotesi lumeggino ictu oculi una parziale ablazione della capacita' di agire in capo al soggetto protetto.
E vi e' di piu'.
Secondo la generalita' degli interpreti, l'art. 411, comma 1, del codice civile - norma che estende, in quanto compatibili, determinate disposizioni dettate in materia di tutela all'istituto in discorso - costituisce anche essa previsione di applicazione necessaria.
Cio' che rileverebbe, in particolare, e' il richiamo dell'art. 375 del codice civile, in base al quale e' sempre necessaria autorizzazione giudiziale per il compimento di atti dispositivi di straordinaria amministrazione (ad esempio, per l'alienazione di beni).
Orbene, se tale interpretazione fosse corretta, dovrebbe ritenersi che il Giudice tutelare giammai potrebbe disporre, in capo al beneficiario, il permanere di una capacita' di agire con riferimento agli atti di amministrazione straordinaria (ed in ispecie degli atti di alienazione dei beni).
La clausola di compatibilita', in tale ottica, riguarderebbe non tanto la disponibilita', in capo al Giudice, del potere di deferimento o meno dei relativi poteri (e dell'emissione delle relative autorizzazioni, a seguito delle istanze), quanto semmai, la necessita' di coordinamento - per lo piu' letterale - delle norme dettate in materia di tutela dei minori con quelle che riguardano il beneficiario di amministrazione di sostegno.
Infine, non possono essere sopravvalutate le previsioni di cui all'art. 411, commi 2 e 3, del codice civile.
Il comma 2 della norma, nel rinviare al disposto di cui all'art. 779 del codice civile, non fa che estendere alla donazione effettuata da parte del gia' beneficiario di amministrazione di sostegno (quindi, ad un soggetto capace) una ipotesi di nullita' prevista per chi, gia' minore o interdetto, sia in seguito divenuto maggiorenne o abbia ottenuto la revoca della interdizione.
Il comma 3 della norma, accostando la fattispecie a quella, analoga, delle disposizioni testamentarie, volutamente evita di menzionare la donazione, e parla genericamente di «convenzioni», con cio' avvalorando l'idea che il Legislatore abbia inteso escludere l'ipotesi del beneficiario donante.
Tutte le considerazioni appena svolte inducono a ritenere, sillogisticamente, che:
alla apertura di una amministrazione di sostegno consegue necessariamente la privazione, anche solo minima, ma inevitabile, della capacita' di agire del beneficiario;
ad essa consegue altresi' la necessita' di prevedere come necessaria l'autorizzazione giudiziale per il compimento di atti di straordinaria amministrazione, ivi compresi quelli dispositivi;
la piena capacita' di disporre dei propri beni costituisce corollario, e forse addirittura un quid pluris, rispetto al
mantenimento di una integra capacita' di agire, che deve presupporsi;
il beneficiario di amministrazione di sostegno non puo' per definizione dirsi titolare di una integra capacita' di agire, e dunque, della piena capacita' di disporre dei propri beni;
egli non puo' quindi effettuare donazioni.
Interpretazioni diverse delle norme appena citate, contrasterebbero, a parere di chi scrive, con il significato letterale delle stesse, e costituirebbero una operazione ermeneutica in palese violazione del disposto dell'art. 12, comma 1, delle Preleggi.
Tutto cio' premesso, questo Giudice, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 774, comma 1, del codice civile, nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte dei beneficiari di amministrazione di sostegno, per i seguenti motivi.
Premesse sistematiche.
Sulla base di quanto appena esposto, si ritiene che per il nostro Ordinamento giuridico non possa affermarsi la possibilita', per i beneficiari di amministrazione di sostegno, di effettuare valide donazioni, neppure per il tramite dell'amministratore di sostegno.
Tale interpretazione deriva dall'univoco tenore della norma oggetto di rilievo costituzionale (naturalmente scrutinata alla luce delle altre norme succitate), ed impone a questo Giudice - una volta rilevato il contrasto nei termini di cui infra - di sollevare l'incidente di costituzionalita' della stessa (cfr. Sent. Cort. Cost. nn. 26/2010; 36/2016; 258/2017).
Quanto alla legittimazione del Giudice tutelare a sollevare questioni di legittimita' costituzionale, si richiamano, solo tra le ultime ed in un solco costante, le sentenze nn. 44/2005 e 258/2017.
Di seguito si andranno ad esporre le considerazioni del giudice scrivente in ordine parametri costituzionali rilevanti, alla non manifesta infondatezza della questione, ed alla sua rilevanza.
I parametri.
Ritenere che i beneficiari di amministrazione di sostegno non possano porre in essere valide donazioni, neppure con le forme abilitative previste dal panorama normativo, confligge con gli articoli 2 e 3, primo e secondo comma, della Costituzione.
Non si intende denunciare l'illegittimita' costituzionale della norma per violazione del diritto internazionale (interposto ex art. 117, comma 1, Cost.), per ragioni di liquidita' della decisione, che si ritiene potra' essere assorbita dalle considerazioni che seguiranno.
In relazione dunque ai parametri, oggetto di indicazione in questa sede, come recentemente affermato dalla Consulta (sent. n. 258/2017, punto 8):
l'art. 2 della Carta pone al vertice dell'ordinamento la dignita' ed il valore della persona;
tale precetto non puo' essere disgiunto dell'art. 3, comma 2, della Carta, che affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona;
la norma teste' citata si collega al primo comma dell'art. 3 della Carta, che garantisce il principio di eguaglianza a prescindere dalle condizioni personali;
tra le condizioni personali che limitano l'eguaglianza, si pone indubbiamente la condizione di disabilita', o di infermita';
la rimozione delle diseguaglianze derivanti da disabilita' o infermita' e' compito promozionale dei pubblici poteri, costantemente assolto dal Legislatore nei piu' vari ambiti, dal lavoro all'istruzione.
La non manifesta infondatezza
Seguendo il pienamente condivisibile insegnamento della Corte costituzionale, questo Giudice ritiene non manifestamente infondata la questione oggi sollevata.
Deve premettersi, come ovvio, che le norme costituzionali appena ricordate, ed in particolare l'art. 3 della Carta, non intendono, del tutto utopicamente, uniformare in maniera acritica il trattamento di ogni cittadino (recte individuo) innanzi alla legge.
Esse, al contrario, ammettono una disparita' di trattamento dei medesimi, ma solo al ricorrere del requisito della ragionevolezza, aspetto sul quale da sempre si sublima il potere di scrutinio della
Consulta sulle scelte, altrimenti insindacabili, del Legislatore.
Attraverso tale giudizio (oggi sempre piu' «intrinseco», e quindi slegato dalla necessita' di individuazione del cd. tertium comparationis), infatti, la Corte e' ammessa a valutare la proporzionalita' delle scelte del Legislatore in relazione agli obiettivi perseguiti e la correttezza nel bilanciamento di interessi costituzionalmente tutelati.
Orbene, a parere di questo Giudice, la scelta del Legislatore (del 2004) di non prevedere, attraverso la armonizzazione della disciplina positiva, la possibilita', in capo ai beneficiari di amministrazione di sostegno, di effettuare valide donazioni, neppure per il tramite o con l'ausilio del soggetto incaricato di garantire loro protezione e con le ulteriori cautele, si appalesa evidentemente irragionevole, tanto intrinsecamente, quanto in riferimento a casi analoghi.
Sotto il primo profilo, non possono non richiamarsi, dandoli per notori, lo spirito e la impostazione della legge n. 6/2004.
Se la legge sull'amministrazione di sostegno ha la finalita' di tutelare le persone prive in tutto o in parte di autonomia, approntando interventi di sostegno, e limitando al minimo la loro capacita' di agire, non vi e' chi non veda come l'inibizione sic et simpliciter della capacita' di donare ad altro risultato non conduca, se non a quello di una profonda mortificazione di questi soggetti.
Molto piu' congruo sarebbe stato circondare tale capacita' (mantenendola viva) di opportuni presidi e cautele, come d'altronde previsto per gli atti di straordinaria amministrazione patrimoniale in generale.
La norma oggetto di rilievo in questa sede, inoltre, svuoterebbe completamente di contenuto (in questa materia) il disposto dell'art. 410 del codice civile - vera norma «cardine» dell'istituto in discorso - secondo cui l'amministratore di sostegno, nell'adempimento dell'incarico, deve tenere conto dei desideri, delle aspirazioni e dei bisogni del beneficiario.
Ne' si dica che di tali bisogni, desideri ed aspirazioni, per l'appunto, si debba solo tenere conto, e non certo assecondarli, perche' tale rilievo e' scontato, ed il problema consiste appunto nel fatto che, in tema di donazioni del beneficiario, de jure condito, tali esigenze neppure potrebbero, a monte, essere prese in considerazione.
Un argomento suggestivo che potrebbe far propendere per una interpretazione costituzionalmente orientata del divieto coincide con la considerazione per cui, in ipotesi, il Legislatore abbia inteso garantire, in questo modo, la massima protezione degli interessi patrimoniali del beneficiario donante.
La tesi non convince, se si pone mente al fatto che, per l'appunto, l'approntamento di un sistema di garanzie, sublimato dal vaglio autorizzativo giudiziale, avrebbe potuto scongiurare qualsiasi rischio in cio' insito, facendo al tempo salvo il rispetto della dignita' e degli intenti liberali della persona beneficiaria, al riscontro della genuinita' di essi, della loro giustificazione e dell'assenza di nocumenti gravi ed irrimediabili diversi dalla deminutio patrimoniale connessa all'atto donativo; in argomento, ritenere che anche altre categorie di soggetti, ad esempio gli interdetti, siano privati di una analoga capacita', non sposta i termini della questione (dovendosi semmai dubitare della legittimita' costituzionale anche di quei divieti, piuttosto che dovendosi evincere da essi argomenti che legittimino la costituzionalita' del divieto in parola).
A tacer del fatto che, in realta', proprio per gli interdetti, una limitata capacita' di donare viene fatta salva, dal succitato art. 777 del codice civile, norma non estensibile al beneficiario di amministrazione di sostegno (se non, in ipotesi, con decreto espresso del Giudice tutelare, ex art. 411, u.c., del codice civile).
Appare dunque del tutto palese il rischio di vera e propria «emarginazione» in cui incorrerebbero i beneficiari di amministrazione di sostegno.
Essi, infatti, non potrebbero mai cristallizzare in un negozio donativo il loro spirito liberale, consistente, per elaborazione pretoria e dottrinale consolidata, nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, anche al fine di illuminare e accendere l'essere e l'animo («il pieno sviluppo della persona umana») di chi un tale gesto intenda compiere; gesto, che, e' banale anche solo ricordarlo, consta (recte, deve constare) di bellezza, nobilta', spontaneita', altezza.
Mai potrebbero proferire, con le parole di un Poeta, la frase «Io ho quel che ho donato».
Tale deplorevole status quo permarrebbe laddove non i emendasse a norma oggi in discorso.
Cio' puo' avvenire, a giudizio di questo rimettente, de jure condendo, con un intervento additivo della Corte costituzionale.
Sul punto, in ossequio ai doveri di chiarezza, determinatezza, non oscurita' e delimitazione del petitum, si ritiene auspicabile che la Corte dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art. 774, comma 1, del codice civile, nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno.
Tale intervento non demanderebbe alla Consulta un indebito potere di «creazione» legislativa (con usurpazione delle prerogative del Legislatore), ma si limiterebbe a determinare una ammissibile, e auspicabile, integrazione della materia in esame, attraverso il richiamo di norme gia' presenti nell'ordinamento (articoli 777, 375, 411 del codice civile), capaci di diventare paradigma ed oggetto della addictio normativa, quale soluzione, in fondo necessaria, pienamente rinvenibile nell'ambito della cornice di sistema.
E' appena il caso di notare, infatti, che la locuzione «con le forme riabilitative richieste» riecheggia in toto quella del secondo comma dell'art. 777 del codice civile; e che la loro individuazione e' assolutamente piana e pacifica, coincidendo con gli strumenti che gia' de jure condito caratterizzano l'istituto dell'amministrazione di sostegno, ed in ispecie, la previsione del potere di alienazione nel decreto di nomina, il meccanismo di confronto dialogico tra beneficiario, Ads, e Giudice tutelare di cui all'art. 410 del codice civile, ed infine, naturalmente, la condicio juris della autorizzazione giudiziale di cui agli articoli 375, comma 1 e 411, comma 1, del codice civile.
Tale intervento additivo permetterebbe, in sintesi ed in conclusione, di emendare il contrasto costituzionale tra l'art. 774 del codice civile e le norme della Carta, che si sintetizza in questi brevi, riassuntivi, termini: rispetto agli articoli 2 e 3, commi 1 e 2, Cost., in quanto, imponendo un sordo divieto, ed integrando un vero e proprio ostacolo di ordine sociale (e fondato, di fatto, sulle infermita' o le menomazioni della persona), irragionevolmente deprime il pieno sviluppo della personalita' umana, inibendo ad una determinata categoria di soggetti di valorizzare - pur con le dovute cautele - il proprio animus donandi, cosi' come concesso, al contrario, alla generalita' degli altri consociati.
La rilevanza
Con riferimento, infine, alla rilevanza della questione di costituzionalita', consideri quanto segue.
La beneficiaria, come detto, e' beneficiaria amministrazione di sostegno.
Ella e' assistita dalla sorella, Ads, con il potere in via di sostituzione, in forza di decreto di nomina, di «compiere tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, previa autorizzazione del Giudice Tutelare per questi ultimi, in nome e per conto della beneficiaria; di occuparsi della gestione del c/c n... presso la Banca... filiale di... e del... presso la Banca..., intestati alla beneficiaria».
Ella appare dunque priva, quantomeno in parte, della capacita' di agire, e, dunque, di disporre pienamente dei propri beni, e pertanto, della capacita' di donare.
Non si ravvisano, in relazione alla istanza, altri impedimenti di merito assorbenti. La richiesta, alla luce delle indagini svolte, appare ammantata da intrinseca congruita', genuinita', e passibile di sicura condivisione (la beneficiaria ha rivendicato a chiare lettere il proprio intento liberale, ha fornito un idoneo termine di valutazione dell'esborso che mira a sostenere, da ritenersi dunque congruo, e dispone di un patrimonio la cui entita' sicuramente rende plausibile compimento di una donazione conie quella proposta, specie avuto riguardo alla evidente serenita' e armonia che connota rapporti personali all'interno della sua famiglia).
Non assume poi rilievo nella presente sede, la questione relativa alla qualificazione della donazione in discorso in termini di modestia, o meno, del relativo valore.
La soluzione della questione rimessa all'attenzione della Consulta, infatti, e' logicamente propedeutica allo scrutinio di cui all'art. 783 del codice civile, che disciplina requisiti formali di un atto che deve pur sempre essere disposto da chi ne sia capace ex art. 774 del codice civile.
Il giudizio di cui sopra, va osservato, rimarra' appannaggio (in prima battuta), di questo Giudice tutelare, che sicuramente potra' invitare gli istanti (Ads e beneficiaria) a formalizzare la donazione di cui si discute attraverso la stipula di atto pubblico, laddove non ritenga integrati gli estremi di cui all'art. 783 del codice civile: cio' pero', lo si ribadisce, soltanto a patto che si possa dirimere, a monte, la questione circa la validita' della donazione da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno.
Cio' chiarito, e' del tutto palese che la decisione sulla odierna istanza non potrebbe seguire se non sulla base della applicazione della norma che qui si taccia di incostituzionalita' (si richiama ad ogni buon conto quanto supra esposto circa la interpretazione necessitata di tale norma nel senso che essa inibisca al beneficiario di disporre dei propri beni per donazione).
Ne' la presente questione puo' essere decisa («aggirandola»), attraverso l'applicazione del combinato disposto degli articoli 411 u.c. e 777, comma 2, del codice civile (ipotizzando che nel caso in esame si verta in materia di donazione obnuziale in favore di discendente, accessibile dunque agli interdetti previo rispetto delle forme abilitative, e quindi anche al beneficiario di Ads ai sensi della prima delle due norme appena richiamate).
L'Ads ha infatti espressamente dichiarato di non «voler condizionare la liberalita' alla celebrazione del matrimonio», con cio' manifestando una chiara volonta' in ordine alla immediata produzione degli effetti della donazione, indipendentemente dalla celebrazione del matrimonio stesso, laddove l'art. 785 del codice civile - il cui campo applicativo coincide con quello di cui al secondo comma dell'art. 777 del codice civile - prevede, esattamente al contrario, che i detti effetti si producano solo allorquando il matrimonio segua.
Inoltre, per concorde ammissione di tutti i presenti, alla donazione in favore della figlia nubenda, gli istanti (beneficiaria e Ads) intenderebbero accompagnare un analogo emolumento in favore del figlio, al fine di non creare disparita', con il che in ogni caso la questione appare comunque rilevante, atteso l'evidente collegamento funzionale.
Autorizzare la donazione oggetto del presente giudizio, sulla base delle norme vigenti, non pare pertanto possibile, in quanto condurrebbe al compimento di un atto in violazione di legge, come tale invalido (perlomeno ex art. 412, primo comma, del codice civile).
Precludere la conclusione del negozio, sulla scorta di un'applicazione arida, ma oggettivamente ineludibile, della norma oggi tacciata di illegittimita' costituzionale, condurrebbe alla severa mortificazione dei diritti della interessata, nei termini sopra ricordati, con pari svilimento dei precetti costituzionali menzionati.
Tutto cio' premesso.
P. Q. M.
Il Giudice tutelare del Tribunale di Vercelli,
Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 774, comma 1, del codice civile, nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno, in riferimento agli articoli 2 e 3 (comma primo e comma secondo), della Costituzione della Repubblica italiana;
Dispone la immediata trasmissione degli atti del giudizio alla Corte costituzionale, previa notifica:
alla parte istante, in persona del Legale nominato;
al sig. Pubblico Ministero in sede;
al sig. Presidente del Consiglio dei ministri;
e previa comunicazione del presente provvedimento:
al sig. Presidente del Senato della Repubblica italiana;
al sig. Presidente della Camera dei Deputati;
Sospende, per l'effetto, il presente procedimento.
Classificazione sul sito della Corte Costituzionale:
Reg. ord. n. 64 del 2018 pubbl. su G.U. del 26/04/2018 n. 17
Ordinanza del Tribunale di Vercelli del 19/02/2018
Notifica del 21/02/2018
Tra: B. A.
Oggetto:
Capacità giuridica e di agire - Amministrazione di sostegno - Capacità di donare - Donazione, con le forme abilitative richieste, da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno - Mancata previsione - Denunciata irragionevole compressione del pieno sviluppo della personalità umana - Violazione del principio di eguaglianza.
Norme impugnate: codice civile art. 774. comma 1
Parametri costituzionali: Costituzione artt. 2 e 3
Il giudice del Tribunale di Vercelli si domanda se non vi sia un omissione del Legislatore laddove, nel predisporre la tutela dell'amministrazione di sostegno, non ha considerato l'interesse dell'amministrato a compiere atti di liberalità coerenti con la realizzazione del proprio progetto di vita e familiare.
Il testo dell'atto
Tribunale di Vercelli, ordinanza del 19 febbraio 2018
Tribunale di Vercelli, ordinanza del 19 febbraio 2018
Capacita' giuridica e di agire - Amministrazione di sostegno - Capacita' di donare - Donazione, con le forme abilitative richieste, da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno - Mancata previsione.
(in GU 1ª Serie Speciale - Corte Costituzionale n.17 del 26.4.2018)
TRIBUNALE DI VERCELLI
Il Giudice Tutelare
In persona del Magistrato dott. Carlo Bianconi,
pronunciando a scioglimento della riserva assunta all'esito dell'udienza del 23 gennaio 2018;
letti gli atti della procedura di amministrazione di sostegno nell'interesse di A. B.,, nata a..... il..., ivi residente, ma dimorante in... presso la struttura;
letta l'istanza depositata in data 1° dicembre 2017 dall'amministratore di sostegno, P. B., sorella della beneficiaria, e volta ad ottenere l'autorizzazione del Giudice tutelare in ordine alla richiesta di «porre in essere in favore di C. F., figlia dell'amministrata, una donazione di modico valore, tramite la corresponsione della somma di euro 10.000,00»;
Osserva quanto segue.
Questo Giudice tutelare, letta l'istanza e svolta l'istruttoria di rito, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 774, comma 1, del codice civile, nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte dei beneficiari di amministrazione di sostegno.
Il fatto
Il Tribunale di Casale Monferrato (oggi accorpato all'ufficio in intestazione), in data 8 novembre 2006 ed in persona del Giudice tutelare, disponeva l'apertura della amministrazione di sostegno a tempo indeterminato in favore della beneficiaria A. B.
Osservava come la medesima, «in seguito a sanguinamento intracranico - E.S.A. con inondamento ventricolare del 13 agosto 2006, attualmente alterna momenti di vigilanza a momenti di sapore, esegue ordini, accenna a risposte verbali e presenta movimenti spontanei, cosi' da essere impossibilitata a provvedere ai propri interessi, necessitando di assistenza».
Nominava all'Ufficio la di lei sorella, P. B.
Conferiva alla medesima il potere di «compiere tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, previa autorizzazione del Giudice Tutelare per questi ultimi, in nome e per conto della beneficiaria; di occuparsi della gestione del c/c n. presso la Banca... filiale di... e del n.... presso la Banca intestati alla beneficiaria; nonche' compiere tutti gli atti necessari ed opportuni per la tutela della salute della beneficiaria».
Prevedeva quindi un obbligo di relazione annuale sulle condizioni di vita personale e sociale, oltre che sull'attivita' svolta.
Con istanza del 1° dicembre 2017, sulla quale questo Giudice e' oggi chiamato a provvedere, l'ADS, assistito dall'Avv. Maria Grazia Strami Ferrini del Foro di Vercelli, esponeva che:
il saldo attivo del conto corrente della beneficiaria acceso presso la (odierna) B. I., fosse pari ad €... alla data del 3 novembre 2017;
la beneficiaria fosse altresi' titolare di un conto deposito titoli del valore di €... alla medesima data;
la beneficiaria avesse due figli maggiorenni ed economicamente indipendenti, M. C. e F. C.;
l'amministratore di sostegno, su suggerimento della figlia della beneficiaria e facendosi interprete della volonta' di quest'ultima («che mai negherebbe, potendolo fare, un aiuto economico ai propri figli») , avesse in animo di corrispondere alla figlia medesima, in procinto di sposarsi «nel corso del 2018», «una somma che le consenta di far fronte alle proprie necessita', senza con cio' voler condizionare la liberalita' alla celebrazione del matrimonio»;
la somma «opportuna allo scopo sopra prefigurato» dovrebbe calcolarsi in €...;
la medesima somma andrebbe «messa a riserva» nell'interesse dell'altro figlio della beneficiaria;
tale(i) esborso(i) sarebbe(ro) sostenibile(i) dalla beneficiaria, in ragione della capienza del suo patrimonio; essi rappresenterebbero altresi' donazioni di valore modico ex art. 783 del codice civile, con conseguente superfluita' di forme sacramentali, ferma la necessita' di traditio;
l'amministratore di sostegno argomentava, in punto di diritto, circa la possibilita', per un beneficiario di amministrazione di sostegno, di effettuare donazioni;
questi, infatti, seppur limitato nell'autonomia negoziale, non diverrebbe mai formalmente incapace, non essendoci nell'amministrazione di sostegno pronuncia costitutiva, al contrario di quanto avviene nell'interdizione e nell'inabilitazione;
scopo della misura in parola e' quello di permettere al beneficiario di superare le limitazioni che questo incontri, a causa della patologia, per soddisfare appieno le sue esigenze ed aspirazioni, che, altrimenti, verrebbero frustrate; cio' dovrebbe avvenire con l'assistenza dell'amministratore, o anche in via di sostituzione, ferma restando la necessita' di ottenere specifica autorizzazione giudiziale per quegli atti, tra cui rientrerebbe la donazione, previsti dagli articoli 374 e 375 del codice civile.
Concludeva quindi con la richiesta di cui all'epigrafe, volta ad autorizzare l'Ads, in via di sostituzione e nell'interesse, in nome e per conto della beneficiaria, a «porre in essere in favore di C. F., figlia dell'amministrata, una donazione di modico valore, tramite la corresponsione della somma di euro...».
Il Giudice scrivente fissava l'udienza 23 gennaio 2018 per sentire le parti interessate.
In tale sede, l'Ads si riportava alla istanza in atti.
La beneficiaria, presentatasi a bordo di una carrozzina, dichiarava:
di andare d'accordo con la sorella, Ads, e con i figli, oltre che con il compagno della figlia, futuro genero;
di essere molto contenta del progetto matrimoniale della figlia;
di non ricordare la data fissata per le nozze;
di voler fare alla figlia «un bel regalo», che fosse «una sorpresa» [tant'e' che il Giudice scrivente invitava la figlia della beneficiaria ad uscire momentaneamente dall'aula], e che consistesse in un «aiuto economico»;
di non avere una idea precisa della cifra da col rispondere, ma che le piacerebbe che con i soldi la figlia potesse «comprare una cucina»;
di avere riflettuto sul fatto di avere un altro figlio e che «bisogna fare uguale»;
concludeva «l'esame» proferendo la frase «so perche' siamo qua, non e' stato un disturbo per me venire, era per fare un regalo e contribuire al matrimonio di mia figlia».
Gli altri presenti, ossia i due figli, confermavano la genuinita' degli intendimenti della beneficiaria, e chiedevano autorizzarsi il negozio; la figlia, in particolare, si diceva «emozionata dal gesto della mamma».
Il Giudice scrivente si riservava per la decisione, invitando contestualmente l'Ads a depositare la relazione annuale, contenente rendiconto economico, per l'anno 2017.
L'Ads provvedeva in data 30 gennaio 2018.
Dalla relazione emergeva come alla data del 31 dicembre 2017 la beneficiaria fosse ancora afflitta dai postumi di emorragia subaracnoidea con rottura di aneurisma cerebrale, con necessita' di assistenza continuativa.
Dal rendiconto emergeva come alla data del 31 dicembre 2017, il compendio patrimoniale della beneficiaria constasse di €... (quanto al saldo attivo del conto corrente), di €... (quanto al controvalore degli investimenti mobiliari), di €... (quanto alla liquidita' di cassa), e come esso fosse da sempre privo di altri cespiti immobiliari e mobiliari.
Quadro normativo
La decisione sull'istanza sconta la preliminare difficolta' di dirimere la questione in ordine alla ammissibilita', nel nostro ordinamento, di una donazione posta essere da un soggetto beneficiario di amministrazione di sostegno.
La fattispecie non e' disciplinata espressamente da norme di diritto positivo.
Essa non e' stata fatta oggetto di pronunce della Corte di Cassazione.
L'argomento e' stato, ad oggi, unicamente affrontato in sede dottrinale e dal a giurisprudenza di merito che si citera' nel prosieguo.
L'art. 774, comma 1, del codice civile prevede che «non possono fare donazioni coloro che non hanno la piena capacita' di disporre dei propri beni».
Eccezioni a tale regola sono previste dal secondo periodo della norma, con riferimento ai minori ed agli inabilitati, in relazione al loro contratto di matrimonio; medesime regole ed eccezioni sono previste per i minori emancipati ed abilitati all'esercizio di impresa commerciale dal secondo comma della norma. Ulteriore eccezione e' prevista dal secondo comma dell'art. 777 del codice civile, a mente del quale sono consentite, con le forme abilitative richieste, le liberalita' in occasione di nozze a favore dei discendenti dell'interdetto o dell'inabilitato.
L'art. 776, dal canto suo, non prevede una eccezione alla regola generale, ma fissa piuttosto, sul piano della disciplina, una presunzione juris et de jure circa la annullabilita' delle donazioni fatte dall'inabilitando (poi inabilitato), in epoca prossima o coeva alla celebrazione del giudizio di inabilitazione.
Per i beneficiari di amministrazione di sostegno, dunque, la norma di diritto positivo applicabile e', e resta, l'art. 774, comma 1, del codice civile.
La soluzione della questione, dunque, passa attraverso il vaglio interpretativo della questione se i medesimi abbiano, o meno, una «piena capacita' di disporre dei propri beni».
Parte della dottrina, e della giurisprudenza di merito (cui aderisce l'Ads oggi istante), ritiene di dare soluzione positiva al quesito.
Si ricorda in particolare una pronuncia del Giudice tutelare presso il Tribunale di La Spezia (decreto 1° ottobre 2010, in NGCC 2011 parte prima, pagg. 77 e sgg.), secondo il quale, in sintesi: il beneficiario di amministrazione di' sostegno, se pure puo' venire limitato nella sua autonomia negoziale, non di meno non diviene mai formalmente incapace (non si pronunzia sentenza costitutiva di limitazione totale o parziale della capacita');
devesi ritenere che sicuramente nell'amministrazione di sostegno il beneficiario possa liberamente fare donazione, salvo che il giudice ritenga di dover inserire nel decreto la limitazione a tale facolta', ex art. 411, comma 4 del codice civile;
cio' sulla base dello spirito e della impostazione della legge n. 6/2004; in tale ottica, devono privilegiarsi soluzioni ermeneutiche che conservino facolta' e poteri in capo al beneficiario, laddove non vi siano divieti di legge o limitazioni ex decreto del Giudice;
non pare decisivo obiettare che la donazione e' atto personalissimo, che non ammette sostituzione, posto che viene ammessa amministrazione sostitutiva per certi atti personalissimi (ad es. rilasciare il consenso informato).
Questo Giudice rimettente non condivide pienamente i presupposti della decisione appena riportata.
Dal punto di vista esegetico, e' infatti discutibile partire dal presupposto che la «piena capacita' di disporre dei propri beni», di cui parla la norma oggetto di rilievo, coincida in toto con la capacita' di agire, normalmente intesa come la capacita' di compiere atti giuridici, tali da incidere sul piano personale e patrimoniale.
Essa, semmai, ne rappresenta una specificazione ulteriore, dettata dall'obiettivo della massima tutela patrimoniale di colui il quale, per le piu' varie ragioni, non sia in grado di rendersi pienamente conto della portata dell'atto dispositivo.
Caso emblematico e' quello rappresentato dalla summenzionata categoria dei minori emancipati abilitati all'esercizio di impresa commerciale; tale categoria di soggetti disparte i rilievo dell'esiguo novero di essi), dal punto di vista normativa e pienamente capace di agire: cio' e' affermato a chiare lettere dal combinato disposto degli articoli 394, comma 1 del codice civile (quanto alla ordinaria amministrazione patrimoniale) e 397, u.c., del codice civile (quanto alla straordinaria amministrazione patrimoniale, anche esulante dall'esercizio della impresa).
Nondimeno, essi non sono ammessi a donare, se non in riguardo del loro contratto di matrimonio: non avrebbe altrimenti senso la lettera dell'art. 774, comma 2, del codice civile.
I concetti di piena capacita' di disposizione dei beni, e di piena capacita' di agire, dunque, per il Legislatore, sembrano avere una diversa estensione applicativa: in particolare, la integra capacita' di agire rappresenterebbe un quid minus rispetto alla pienezza della capacita' dispositiva.
In ogni caso, anche a voler ritenere coincidenti tali concetti, neppure convince la interpretazione - invero invalsa in Dottrina e in parte della giurisprudenza - secondo cui il beneficiario di amministrazione di sostegno «mai diverrebbe formalmente incapace».
Ritiene chi scrive che una ablazione, anche parziale, e financo minima, della capacita' di agire del beneficiario costituisca infatti indefettibile risultato della applicazione della misura di protezione in parola.
Cio', in primis, per ragioni letterali.
L'art. 1, legge n. 6/2004, istitutiva della amministrazione di sostegno, nel disporre che «La presente legge ha la finalita' di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacita' di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia [...]», implicitamente afferma come una limitazione della predetta capacita', per quanto minima, necessariamente consegua all'applicazione dell'istituto.
Ma l'assunto e' asseverato con ancora maggiore chiarezza dalla lettura del combinato disposto degli articoli 405, comma 5, nr. 3) 4), del codice civile da un lato e dell'art. 409, comma 1, del codice civile, dall'altro.
Le prime due norme impongono, quale contenuto necessario (peraltro implicitamente alternativo) del decreto di nomina, l'indicazione: i) degli atti che l'Ads ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario; ii) degli atti che il beneficiario puo' compiere solo con l'assistenza dell'Ads.
Tratteggiano, in altre parole, le fattispecie generalmente descritte in termini di amministrazione sostitutiva con rappresentanza esclusiva dell'Ads (prima norma), e di amministrazione concorrente in assistenza (seconda norma).
L'art. 409, comma 1, del codice civile, dall'altro lato, espressamente prevede che «il beneficiario conserva la capacita' di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno».
E' evidente, dal punto di vista letterale, ancor prima che sotto un profilo logico, che se la previsione di atti da compiersi in rappresentanza o in assistenza integri parte del contenuto indefettibile del decreto; e che se solo in relazione ad ogni attivita' diversa dalle predette il beneficiario conserva la capacita' di agire; allora il beneficiario subisce immancabilmente una deminutio della sua capacita', per il solo fatto dell'apertura della misura.
A tale conclusione, peraltro, si arriva anche attraverso una interpretazione di ordine sistematico.
E' infatti irrazionale ipotizzare un controllo giudiziale sull'operato di un Ads incaricato di assistere un soggetto in toto capace di agire (basterebbe, a tal fine, la stipula di un mandato, con esercizio in capo al mandante, dei poteri di controllo e supervisione di cui agli articoli 1712 e 1713 del codice civile): ne', proprio per tale motivo l'assistenza di cui sopra potrebbe giammai essere ricostruita in termini, del tutto indefinibili, di consiglio, blandizia, suggerimento, conforto, pena lo svuotamento del contenuto del munus conferito, e la sua insindacabilita' de facto (con concreta inapplicabilita', tra le altre, delle norme di cui agli articoli 343 del codice civile; 405, comma 5, n. 6 del codice civile, 44 disp. att. del codice civile, etc.).
Molto piu' corretto appare invece tratteggiare l'assistenza in termini di compartecipazione riscontrabile dell'Ads al compimento di negozi giuridici apprezzabili nella loro essenza ed esistenza, ed altrimenti invalidi (ex art. 412 del codice civile).
Si pensi, in via di esempio, alla sottoscrizione congiuntiva di un negozio o di una procura ad litem, alla costituzione congiunta innanzi ad un Notaio all'atto di una stipula, alla compresenza dei medesimi ad un'udienza, e cosi via: non senza osservare, una volta di piu', come tali ipotesi lumeggino ictu oculi una parziale ablazione della capacita' di agire in capo al soggetto protetto.
E vi e' di piu'.
Secondo la generalita' degli interpreti, l'art. 411, comma 1, del codice civile - norma che estende, in quanto compatibili, determinate disposizioni dettate in materia di tutela all'istituto in discorso - costituisce anche essa previsione di applicazione necessaria.
Cio' che rileverebbe, in particolare, e' il richiamo dell'art. 375 del codice civile, in base al quale e' sempre necessaria autorizzazione giudiziale per il compimento di atti dispositivi di straordinaria amministrazione (ad esempio, per l'alienazione di beni).
Orbene, se tale interpretazione fosse corretta, dovrebbe ritenersi che il Giudice tutelare giammai potrebbe disporre, in capo al beneficiario, il permanere di una capacita' di agire con riferimento agli atti di amministrazione straordinaria (ed in ispecie degli atti di alienazione dei beni).
La clausola di compatibilita', in tale ottica, riguarderebbe non tanto la disponibilita', in capo al Giudice, del potere di deferimento o meno dei relativi poteri (e dell'emissione delle relative autorizzazioni, a seguito delle istanze), quanto semmai, la necessita' di coordinamento - per lo piu' letterale - delle norme dettate in materia di tutela dei minori con quelle che riguardano il beneficiario di amministrazione di sostegno.
Infine, non possono essere sopravvalutate le previsioni di cui all'art. 411, commi 2 e 3, del codice civile.
Il comma 2 della norma, nel rinviare al disposto di cui all'art. 779 del codice civile, non fa che estendere alla donazione effettuata da parte del gia' beneficiario di amministrazione di sostegno (quindi, ad un soggetto capace) una ipotesi di nullita' prevista per chi, gia' minore o interdetto, sia in seguito divenuto maggiorenne o abbia ottenuto la revoca della interdizione.
Il comma 3 della norma, accostando la fattispecie a quella, analoga, delle disposizioni testamentarie, volutamente evita di menzionare la donazione, e parla genericamente di «convenzioni», con cio' avvalorando l'idea che il Legislatore abbia inteso escludere l'ipotesi del beneficiario donante.
Tutte le considerazioni appena svolte inducono a ritenere, sillogisticamente, che:
alla apertura di una amministrazione di sostegno consegue necessariamente la privazione, anche solo minima, ma inevitabile, della capacita' di agire del beneficiario;
ad essa consegue altresi' la necessita' di prevedere come necessaria l'autorizzazione giudiziale per il compimento di atti di straordinaria amministrazione, ivi compresi quelli dispositivi;
la piena capacita' di disporre dei propri beni costituisce corollario, e forse addirittura un quid pluris, rispetto al
mantenimento di una integra capacita' di agire, che deve presupporsi;
il beneficiario di amministrazione di sostegno non puo' per definizione dirsi titolare di una integra capacita' di agire, e dunque, della piena capacita' di disporre dei propri beni;
egli non puo' quindi effettuare donazioni.
Interpretazioni diverse delle norme appena citate, contrasterebbero, a parere di chi scrive, con il significato letterale delle stesse, e costituirebbero una operazione ermeneutica in palese violazione del disposto dell'art. 12, comma 1, delle Preleggi.
Tutto cio' premesso, questo Giudice, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 774, comma 1, del codice civile, nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte dei beneficiari di amministrazione di sostegno, per i seguenti motivi.
Premesse sistematiche.
Sulla base di quanto appena esposto, si ritiene che per il nostro Ordinamento giuridico non possa affermarsi la possibilita', per i beneficiari di amministrazione di sostegno, di effettuare valide donazioni, neppure per il tramite dell'amministratore di sostegno.
Tale interpretazione deriva dall'univoco tenore della norma oggetto di rilievo costituzionale (naturalmente scrutinata alla luce delle altre norme succitate), ed impone a questo Giudice - una volta rilevato il contrasto nei termini di cui infra - di sollevare l'incidente di costituzionalita' della stessa (cfr. Sent. Cort. Cost. nn. 26/2010; 36/2016; 258/2017).
Quanto alla legittimazione del Giudice tutelare a sollevare questioni di legittimita' costituzionale, si richiamano, solo tra le ultime ed in un solco costante, le sentenze nn. 44/2005 e 258/2017.
Di seguito si andranno ad esporre le considerazioni del giudice scrivente in ordine parametri costituzionali rilevanti, alla non manifesta infondatezza della questione, ed alla sua rilevanza.
I parametri.
Ritenere che i beneficiari di amministrazione di sostegno non possano porre in essere valide donazioni, neppure con le forme abilitative previste dal panorama normativo, confligge con gli articoli 2 e 3, primo e secondo comma, della Costituzione.
Non si intende denunciare l'illegittimita' costituzionale della norma per violazione del diritto internazionale (interposto ex art. 117, comma 1, Cost.), per ragioni di liquidita' della decisione, che si ritiene potra' essere assorbita dalle considerazioni che seguiranno.
In relazione dunque ai parametri, oggetto di indicazione in questa sede, come recentemente affermato dalla Consulta (sent. n. 258/2017, punto 8):
l'art. 2 della Carta pone al vertice dell'ordinamento la dignita' ed il valore della persona;
tale precetto non puo' essere disgiunto dell'art. 3, comma 2, della Carta, che affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona;
la norma teste' citata si collega al primo comma dell'art. 3 della Carta, che garantisce il principio di eguaglianza a prescindere dalle condizioni personali;
tra le condizioni personali che limitano l'eguaglianza, si pone indubbiamente la condizione di disabilita', o di infermita';
la rimozione delle diseguaglianze derivanti da disabilita' o infermita' e' compito promozionale dei pubblici poteri, costantemente assolto dal Legislatore nei piu' vari ambiti, dal lavoro all'istruzione.
La non manifesta infondatezza
Seguendo il pienamente condivisibile insegnamento della Corte costituzionale, questo Giudice ritiene non manifestamente infondata la questione oggi sollevata.
Deve premettersi, come ovvio, che le norme costituzionali appena ricordate, ed in particolare l'art. 3 della Carta, non intendono, del tutto utopicamente, uniformare in maniera acritica il trattamento di ogni cittadino (recte individuo) innanzi alla legge.
Esse, al contrario, ammettono una disparita' di trattamento dei medesimi, ma solo al ricorrere del requisito della ragionevolezza, aspetto sul quale da sempre si sublima il potere di scrutinio della
Consulta sulle scelte, altrimenti insindacabili, del Legislatore.
Attraverso tale giudizio (oggi sempre piu' «intrinseco», e quindi slegato dalla necessita' di individuazione del cd. tertium comparationis), infatti, la Corte e' ammessa a valutare la proporzionalita' delle scelte del Legislatore in relazione agli obiettivi perseguiti e la correttezza nel bilanciamento di interessi costituzionalmente tutelati.
Orbene, a parere di questo Giudice, la scelta del Legislatore (del 2004) di non prevedere, attraverso la armonizzazione della disciplina positiva, la possibilita', in capo ai beneficiari di amministrazione di sostegno, di effettuare valide donazioni, neppure per il tramite o con l'ausilio del soggetto incaricato di garantire loro protezione e con le ulteriori cautele, si appalesa evidentemente irragionevole, tanto intrinsecamente, quanto in riferimento a casi analoghi.
Sotto il primo profilo, non possono non richiamarsi, dandoli per notori, lo spirito e la impostazione della legge n. 6/2004.
Se la legge sull'amministrazione di sostegno ha la finalita' di tutelare le persone prive in tutto o in parte di autonomia, approntando interventi di sostegno, e limitando al minimo la loro capacita' di agire, non vi e' chi non veda come l'inibizione sic et simpliciter della capacita' di donare ad altro risultato non conduca, se non a quello di una profonda mortificazione di questi soggetti.
Molto piu' congruo sarebbe stato circondare tale capacita' (mantenendola viva) di opportuni presidi e cautele, come d'altronde previsto per gli atti di straordinaria amministrazione patrimoniale in generale.
La norma oggetto di rilievo in questa sede, inoltre, svuoterebbe completamente di contenuto (in questa materia) il disposto dell'art. 410 del codice civile - vera norma «cardine» dell'istituto in discorso - secondo cui l'amministratore di sostegno, nell'adempimento dell'incarico, deve tenere conto dei desideri, delle aspirazioni e dei bisogni del beneficiario.
Ne' si dica che di tali bisogni, desideri ed aspirazioni, per l'appunto, si debba solo tenere conto, e non certo assecondarli, perche' tale rilievo e' scontato, ed il problema consiste appunto nel fatto che, in tema di donazioni del beneficiario, de jure condito, tali esigenze neppure potrebbero, a monte, essere prese in considerazione.
Un argomento suggestivo che potrebbe far propendere per una interpretazione costituzionalmente orientata del divieto coincide con la considerazione per cui, in ipotesi, il Legislatore abbia inteso garantire, in questo modo, la massima protezione degli interessi patrimoniali del beneficiario donante.
La tesi non convince, se si pone mente al fatto che, per l'appunto, l'approntamento di un sistema di garanzie, sublimato dal vaglio autorizzativo giudiziale, avrebbe potuto scongiurare qualsiasi rischio in cio' insito, facendo al tempo salvo il rispetto della dignita' e degli intenti liberali della persona beneficiaria, al riscontro della genuinita' di essi, della loro giustificazione e dell'assenza di nocumenti gravi ed irrimediabili diversi dalla deminutio patrimoniale connessa all'atto donativo; in argomento, ritenere che anche altre categorie di soggetti, ad esempio gli interdetti, siano privati di una analoga capacita', non sposta i termini della questione (dovendosi semmai dubitare della legittimita' costituzionale anche di quei divieti, piuttosto che dovendosi evincere da essi argomenti che legittimino la costituzionalita' del divieto in parola).
A tacer del fatto che, in realta', proprio per gli interdetti, una limitata capacita' di donare viene fatta salva, dal succitato art. 777 del codice civile, norma non estensibile al beneficiario di amministrazione di sostegno (se non, in ipotesi, con decreto espresso del Giudice tutelare, ex art. 411, u.c., del codice civile).
Appare dunque del tutto palese il rischio di vera e propria «emarginazione» in cui incorrerebbero i beneficiari di amministrazione di sostegno.
Essi, infatti, non potrebbero mai cristallizzare in un negozio donativo il loro spirito liberale, consistente, per elaborazione pretoria e dottrinale consolidata, nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, anche al fine di illuminare e accendere l'essere e l'animo («il pieno sviluppo della persona umana») di chi un tale gesto intenda compiere; gesto, che, e' banale anche solo ricordarlo, consta (recte, deve constare) di bellezza, nobilta', spontaneita', altezza.
Mai potrebbero proferire, con le parole di un Poeta, la frase «Io ho quel che ho donato».
Tale deplorevole status quo permarrebbe laddove non i emendasse a norma oggi in discorso.
Cio' puo' avvenire, a giudizio di questo rimettente, de jure condendo, con un intervento additivo della Corte costituzionale.
Sul punto, in ossequio ai doveri di chiarezza, determinatezza, non oscurita' e delimitazione del petitum, si ritiene auspicabile che la Corte dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art. 774, comma 1, del codice civile, nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno.
Tale intervento non demanderebbe alla Consulta un indebito potere di «creazione» legislativa (con usurpazione delle prerogative del Legislatore), ma si limiterebbe a determinare una ammissibile, e auspicabile, integrazione della materia in esame, attraverso il richiamo di norme gia' presenti nell'ordinamento (articoli 777, 375, 411 del codice civile), capaci di diventare paradigma ed oggetto della addictio normativa, quale soluzione, in fondo necessaria, pienamente rinvenibile nell'ambito della cornice di sistema.
E' appena il caso di notare, infatti, che la locuzione «con le forme riabilitative richieste» riecheggia in toto quella del secondo comma dell'art. 777 del codice civile; e che la loro individuazione e' assolutamente piana e pacifica, coincidendo con gli strumenti che gia' de jure condito caratterizzano l'istituto dell'amministrazione di sostegno, ed in ispecie, la previsione del potere di alienazione nel decreto di nomina, il meccanismo di confronto dialogico tra beneficiario, Ads, e Giudice tutelare di cui all'art. 410 del codice civile, ed infine, naturalmente, la condicio juris della autorizzazione giudiziale di cui agli articoli 375, comma 1 e 411, comma 1, del codice civile.
Tale intervento additivo permetterebbe, in sintesi ed in conclusione, di emendare il contrasto costituzionale tra l'art. 774 del codice civile e le norme della Carta, che si sintetizza in questi brevi, riassuntivi, termini: rispetto agli articoli 2 e 3, commi 1 e 2, Cost., in quanto, imponendo un sordo divieto, ed integrando un vero e proprio ostacolo di ordine sociale (e fondato, di fatto, sulle infermita' o le menomazioni della persona), irragionevolmente deprime il pieno sviluppo della personalita' umana, inibendo ad una determinata categoria di soggetti di valorizzare - pur con le dovute cautele - il proprio animus donandi, cosi' come concesso, al contrario, alla generalita' degli altri consociati.
La rilevanza
Con riferimento, infine, alla rilevanza della questione di costituzionalita', consideri quanto segue.
La beneficiaria, come detto, e' beneficiaria amministrazione di sostegno.
Ella e' assistita dalla sorella, Ads, con il potere in via di sostituzione, in forza di decreto di nomina, di «compiere tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, previa autorizzazione del Giudice Tutelare per questi ultimi, in nome e per conto della beneficiaria; di occuparsi della gestione del c/c n... presso la Banca... filiale di... e del... presso la Banca..., intestati alla beneficiaria».
Ella appare dunque priva, quantomeno in parte, della capacita' di agire, e, dunque, di disporre pienamente dei propri beni, e pertanto, della capacita' di donare.
Non si ravvisano, in relazione alla istanza, altri impedimenti di merito assorbenti. La richiesta, alla luce delle indagini svolte, appare ammantata da intrinseca congruita', genuinita', e passibile di sicura condivisione (la beneficiaria ha rivendicato a chiare lettere il proprio intento liberale, ha fornito un idoneo termine di valutazione dell'esborso che mira a sostenere, da ritenersi dunque congruo, e dispone di un patrimonio la cui entita' sicuramente rende plausibile compimento di una donazione conie quella proposta, specie avuto riguardo alla evidente serenita' e armonia che connota rapporti personali all'interno della sua famiglia).
Non assume poi rilievo nella presente sede, la questione relativa alla qualificazione della donazione in discorso in termini di modestia, o meno, del relativo valore.
La soluzione della questione rimessa all'attenzione della Consulta, infatti, e' logicamente propedeutica allo scrutinio di cui all'art. 783 del codice civile, che disciplina requisiti formali di un atto che deve pur sempre essere disposto da chi ne sia capace ex art. 774 del codice civile.
Il giudizio di cui sopra, va osservato, rimarra' appannaggio (in prima battuta), di questo Giudice tutelare, che sicuramente potra' invitare gli istanti (Ads e beneficiaria) a formalizzare la donazione di cui si discute attraverso la stipula di atto pubblico, laddove non ritenga integrati gli estremi di cui all'art. 783 del codice civile: cio' pero', lo si ribadisce, soltanto a patto che si possa dirimere, a monte, la questione circa la validita' della donazione da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno.
Cio' chiarito, e' del tutto palese che la decisione sulla odierna istanza non potrebbe seguire se non sulla base della applicazione della norma che qui si taccia di incostituzionalita' (si richiama ad ogni buon conto quanto supra esposto circa la interpretazione necessitata di tale norma nel senso che essa inibisca al beneficiario di disporre dei propri beni per donazione).
Ne' la presente questione puo' essere decisa («aggirandola»), attraverso l'applicazione del combinato disposto degli articoli 411 u.c. e 777, comma 2, del codice civile (ipotizzando che nel caso in esame si verta in materia di donazione obnuziale in favore di discendente, accessibile dunque agli interdetti previo rispetto delle forme abilitative, e quindi anche al beneficiario di Ads ai sensi della prima delle due norme appena richiamate).
L'Ads ha infatti espressamente dichiarato di non «voler condizionare la liberalita' alla celebrazione del matrimonio», con cio' manifestando una chiara volonta' in ordine alla immediata produzione degli effetti della donazione, indipendentemente dalla celebrazione del matrimonio stesso, laddove l'art. 785 del codice civile - il cui campo applicativo coincide con quello di cui al secondo comma dell'art. 777 del codice civile - prevede, esattamente al contrario, che i detti effetti si producano solo allorquando il matrimonio segua.
Inoltre, per concorde ammissione di tutti i presenti, alla donazione in favore della figlia nubenda, gli istanti (beneficiaria e Ads) intenderebbero accompagnare un analogo emolumento in favore del figlio, al fine di non creare disparita', con il che in ogni caso la questione appare comunque rilevante, atteso l'evidente collegamento funzionale.
Autorizzare la donazione oggetto del presente giudizio, sulla base delle norme vigenti, non pare pertanto possibile, in quanto condurrebbe al compimento di un atto in violazione di legge, come tale invalido (perlomeno ex art. 412, primo comma, del codice civile).
Precludere la conclusione del negozio, sulla scorta di un'applicazione arida, ma oggettivamente ineludibile, della norma oggi tacciata di illegittimita' costituzionale, condurrebbe alla severa mortificazione dei diritti della interessata, nei termini sopra ricordati, con pari svilimento dei precetti costituzionali menzionati.
Tutto cio' premesso.
P. Q. M.
Il Giudice tutelare del Tribunale di Vercelli,
Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 774, comma 1, del codice civile, nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno, in riferimento agli articoli 2 e 3 (comma primo e comma secondo), della Costituzione della Repubblica italiana;
Dispone la immediata trasmissione degli atti del giudizio alla Corte costituzionale, previa notifica:
alla parte istante, in persona del Legale nominato;
al sig. Pubblico Ministero in sede;
al sig. Presidente del Consiglio dei ministri;
e previa comunicazione del presente provvedimento:
al sig. Presidente del Senato della Repubblica italiana;
al sig. Presidente della Camera dei Deputati;
Sospende, per l'effetto, il presente procedimento.
Vercelli, 19 febbraio 2018
Il Giudice tutelare: Bianconi
Fonte
Gazzetta Ufficiale online
link all'ordinanza sulla Gazzetta Ufficiale online
L'ordinanza in formato pdf (estratto dal pdf della G.U. 1ª Serie Speciale n. 17/2018)
link al pdf della G.U. 1ª Serie Speciale n. 17/2018 (andare a pag. 82)
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