Il Giudice Tutelare di Torino delimita i confini tra amministrazione di sostegno ed interdizione; deve farsi luogo al primo istituto se l'incapacità non è assoluta; è il tutore, e non l'amministratore di sostegno, che può rappresentare l'incapace nella scelta delle cure e terapie mediche (Tribunale di Torino, Giudice Tutelare Dott. Beltramino, Decreto 22.05.2004, ne "Il Merito", n.10/2004, pag. 8, con commento dell'Avv. Milena Pini)

Tribunale di Torino Giudice Tutelare, Dott. Beltramino Decreto 22 maggio 2004

Tribunale di Torino Giudice Tutelare, Dott. Beltramino Decreto 22 maggio 2004

Amministrazione di sostegno - presupposti - mantenimento di una residua autonomia e capacità da parte del beneficiario;
Potere di rappresentanza dell'incapace nella prestazione di consenso a trattamenti terapeutici e riabilitativi - sussiste in capo al tutore - non sussiste in capo all'amministratore di sostegno.
(Massima non ufficiale)

Il Giudice Tutelare

premesso che:

- il P.M. ha promosso ricorso per l'istituzione di amministrazione di sostegno a favore del sig. (...) assumendo che il possibile beneficiario “versa in condizioni psichiche tali da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi o quanto meno di attendere con sufficiente discernimento e consapevolezza all'amministrazione delle proprie sostanze, in quanto affetto da tossicodipendenza di grado severo, dipendenza che ne determina ricorrenti stati di agitazione psicomotoria, durante il ricovero in atto”;

- il P.M. ricorrente assume altresì che “le gravi lesioni riportate a seguito del sinistro stradale in cui è stato coinvolto richiederanno un lungo periodo riabilitativo sicuramente incompatibile con le attuali condizioni di grave dipendenza del paziente che non pare assolutamente in grado di assumere determinazioni in ordine al progetto assistenziale e terapeutico da intraprendere, solo osservando rigorosamente il quale potrà recuperare la pienezza delle proprie condizioni fisiche”;

- il medico curante ha quindi sollecitato l'eventuale apertura di amministrazione di sostegno, in quanto il (...) dovrà sottoporsi a lunghi e fastidiosi trattamenti riabilitativi, di difficile attuazione alla luce “del problema farmacologico attuale” e “psicologico successivo, in quanto un disturbo da dipendenza di questa importanza non può venire risolto con il semplice divezzamento”, e sarà necessario assumere “diverse decisioni in ambito terapeutico per accertamenti anche invasivi o con mezzi di contrasto, oltre che per interventi chirurgici”;

- il medico curante conclude quindi che “il paziente al momento non è, e per qualche tempo ancora non sarà, in grado di prendere in modo lucido e competente tali decisioni”, relative a trattamenti terapeutici, ed anzi "potrebbe fare scelte tali da peggiorare la sua condizione”, ritenendo altresì la necessità di "una figura di riferimento (amministratore di sostegno in prima ipotesi) che possa prendere le decisioni necessarie, attivare le risorse disponibili sul territorio, e con il quale l'Ospedale possa dialogare per impostare e realizzare un progetto terapeutico e, soprattutto, riabilitativo, almeno fisico».

Considerato che:

- l'art.1 della legge 9 gennaio 2004,n.6 indica quale finalità della norma stessa la predisposizione di interventi di sostegno a favore di soggetti privi in tutto o in parte di autonomia con la minore limitazione possibile della capacità di agire degli stessi;

- l’art. 404 del codice civile dispone che nel caso in cui una persona si trovi nella impossibilità di provvedere ai propri interessi la stessa possa essere assistita da un amministratore di sostegno;

- l'art. 407 del codice civile dispone che il giudice tutelare debba sentire personalmente la persona possibile destinataria del provvedimento e debba tenere conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa;

- l'art. 409 del codice civile dispone che “il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno";

- l'art. 410 del codice civile dispone che l'amministratore di sostegno, nell'espletamento dei suoi compiti, debba tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario e che debba tempestivamente informare lo stesso beneficiario circa gli atti da compiere, informando tempestivamente il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso;

- l'art. 411 c.c. richiama, quali norme applicabili all’amministrazione di sostegno, quelle dettate dagli artt. “da 349 a 353” e “da 374 a 388”, escludendo pertanto espressamente l'applicabilità, a tale istituto, delle norme di cui all'art. 357 c.c. (funzioni del tutore) e dell'art. 371 c.c. e non potendo tali disposizioni divenire applicabili per il disposto del medesimo art. 411 u.c. c.c. (Il giudice tutelare (...) può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato si estendano al beneficiarjo dell'amministrazione di sostegno, avuto riguardo all'interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni”) (...). 

Osserva

Dall'insieme delle citate norme si evince che il destinatario del provvedimento di amministrazione di sostegno deve mantenere quanto meno in misura ridotta una propria autonomia e capacità, risultando necessario da un lato, per il giudice, tener conto anche delle richieste formulate dallo stesso beneficiario,e dall'altro per l'amministratore informare il beneficiario dei diversi atti da compiere, raccogliendo il suo assenso e considerando nel proprio agire anche le aspirazioni di questi.

Dalle stesse disposizioni, laddove si riferiscono (art. 1 L. 6/2004) ai soggetti privi in tutto o in parte di “autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana” e presuppongono non già una incapacità, bensì una impossibilità dei beneficiari di provvedere ai propri interessi (art. 404 c.c.), può poi desumersi che il legislatore abbia avuto a mente fattispecie di impedimento a provvedere ai propri interessi non coincidenti con l’incapacità posta a fondamento dell’interdizione, disciplinando quindi interventi di sostegno alla persona e non non di integrale sostituzione alla stessa, e prevedendo una sorta di costante contraddittorio tra il beneficiario e l'amministratore quanto agli atti da questi compiuti, con l'intervento del giudice tutelate per dirimere possibili contrasti (art. 410 secondo comma del codice civile).

Ciò posto, occorre verificare se la residua capacità del beneficiario (soggetto che, lo si ribadisce, dialoga con il proprio amministratore e con il giudice) possa essere compressa sino al punto che la manifestazione del consenso a trattamenti sanitari e terapeutici possa essere prestata dall'amministratore, in totale sostituzione del beneficiario, così come da tempo ammesso dalla giurisprudenza in ipotesi di interdizione, e come ribadito in caso di incapacità a dare il consenso, dall'art. 6 della Convenzione di Oviedo 4 aprile 1997, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 28 marzo 2001, n.145.

Il Giudice ritiene che a tale interrogativo non possa essere data risposta affermativa.

In primo luogo, è ben noto che l'evoluzione normativa degli ultimi decenni relativa alla cura (...) privilegia una scala di valori che vede il primato della salute dell'uomo e della sua libertà e dignità su ogni altro interesse (cfr. art. 1., comma 2, e art. 2, comma 2, lett. g), l. n. 833/1978, e art. 1, comma 2, l. n. 180/1978), con l'affermazione della volontarietà, di norma, degli accertamenti e trattamenti sanitari; sulla scorta di tali principi generali, in relazione alla prestazione del consenso da parte dell'infermo di mente, la maggior parte della dottrina ritiene che la capacità legale non assuma rilievo decisivo, dovendosi far riferimento alla capacità di fatto dell’interessato, attinendo tale manifestazione di volontà alla libertà morale del soggetto e comportando essa un atto dispositivo dell'integrità psicofisica, giungendo a negare la legittimazione del tutore di compiere scelte attinenti alla salute dell'interdetto, qualora questi sia in grado, di fatto, di operarle autonomamente.

Quanto alla giurisprudenza, se è ormai affermato il principio secondo il quale il tutore, sulla base degli artt. 357 e 424 c.c ha la cura della persona del tutelato «con la conseguenza che nell'interesse del soggetto è legittimato a esprimere o rifiutare il consenso al trattamento terapeutico» (cfr. Corte d'Appello Milano, decreto 31 marzo 1999, in Foro It. 2000, 1, 2022), è parimenti da sottolineare che nelle ipotesi oggetto di decisioni siffatte non era neppure configurabile l'astratta sussistenza di una residua capacità, nel soggetto interdetto, di esprimere una determinazione (il caso esaminato dalla pronuncia della Corte d'Appello di Milano era relativo all'istanza del padre e tutore di interdetta, in stato vegetativo permanente in seguito ad incidente, volta ad ottenere autorizzazione all'interruzione delle cure mediche che protraevano tale stato; cfr. anche Pretura Genova, 20 marzo 1986, in Foro It. 1987, I, 1343, ove si afferma che qualora la condizione psichica impedisca alla donna interdetta di manifestare alcuna volontà in ordine alla prosecuzione od alla interruzione di gravidanza (...) il Giudice Tutelare può accogliere la richiesta d'interruzione di gravidanza avanzata dal tutore, in assenza di conferma della donna; ed ancora, a conferma della negazione della legittimazione del “rappresentante” dell'incapace legale, se in grado di esprimere in via di fatto una propria determinazione, Pretura Milano, decreto 8 gennaio 1983, in Foro It. 1983, I, 3066, che esclude che la richiesta avanzata dal padre di minore sia sufficiente a configurare come volontario il trattamento psichiatrico del figlio, in considerazione dell'età adolescenziale e del contrasto esistente con i genitori).

Anche la recente normativa internazionale, sopra citata, ammette la legittimazione alla sostituzione nella prestazione del consenso soltanto qualora il soggetto non abbia “la capacità di dare il consenso" (art. 6, Convenzione di Oviedo).

Tali considerazioni impongono di ritenere di stretta tassatività le ipotesi di sostituzione in esame, e comportano l'esclusione della legittimità della stessa in caso di istituzione di amministrazione di sostegno dalla cui disciplina, come sopra sottolineato, sono espressamente esclusi gli artt. 357 (secondo il quale il tutore rappresenta l'incapace ed ha cura della sua persona) e 371 c.c. (nel cui n. 1 trovano fondamento normativo i provvedimenti di “collocazione indotta” relativi a soggetti sottoposti a tutela).

In altre parole: se nel caso in esame si ritenesse sussistente una residua capacita del sig. (...) e la ricorrenza dei presupposti per l'amministrazione di sostegno, l'amministratore nominato, in ipotesi di contraria volontà del paziente, non potrebbe comunque prestare un valido consenso ai trattamenti terapeutici e riabilitativi ipotizzati dal curante, in sostituzione e per conto del sig. (...); per contro, se al sig. (...) non residuasse alcuna capacità e questi non fosse pertanto in grado di autodeterminarsi in ordine ai medesimi trattamenti, ciò comporterebbe la necessità di adozione della procedura di interdizione, essendo l' amministrazione di sostegno "inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario" (art. 413 c.c.).

Per tali ragioni, il ricorso per l'istituzione dell'amministrazione di sostegno a beneficio del Sig. (...) non può trovare accoglimento.

P.Q.M.

Rigetta, inaudita altera parte, il ricorso del Pubblico Ministero (...).

Fonte

La sentenza è pubblicata nella rivista Il Merito (mensile de Il Sole 24 ORE dedicato alla giurisprudenza di merito), n. 10 del 2004, a pag. 8; con note e  commento a cura dell'Avv. Milena Pini.