Relazione del 17.11.2010 a cura dell’Avv. Pier Paolo Zambardino
Problematiche in materia di invalidità civile ed in generale sulla previdenza ed assistenza obbligatorie alla luce delle riforme - biennio 2008/10.
Giornate di studio per la formazione professionale 2010 Unione Italiana Forense sezione di Napoli
Relazione del 17.11.2010 a cura dell’Avv. Pier Paolo Zambardino
Problematiche in materia di invalidità civile ed in generale sulla previdenza ed assistenza obbligatorie alla luce delle riforme - biennio 2008/10 -
Come nel programma "Vieni via con me" del duo Fazio/Saviano che è stato connotato dal filo conduttore degli elenchi (come definire un omosessuale, il capo del governo, l'autore di Gomorra, l'addetto al call center etc. ), così ho raggruppato, nell'incipit di questa relazione, le domande che circolano nel nostro settore e provenienti dai miei colleghi per telefono, fax, email, a voce o sui siti specializzati e ne ho fatto un parziale elenco
Eccolo:
1) dopo quanto tempo si può adire il magistrato dalla presentazione della domanda amministrativa alla luce della normativa vigente dal primo gennaio/10?
2) le domande di revisione si presentano ancora in via cartacea oppure on-line? Per esse occorre allegare un certificato medico? ed in caso positivo deve essere su carta intestata del medico o telematico?
3) Perchè l'INPS non accetta le domande presentate ex novo se è comunque conclusa la causa precedente ?
4) le sentenze che condannano il MEF devono essere notificate all'avvocatura dello Stato?
5) le verifiche effettuate dall'INPS invalidano le sentenze pur essendo queste passate in giudicato?
6) Sono sempre proponibili i ricorsi in materia di 104/92? Ed in caso positivo a chi si notificano?
7) Chi vuole intentare causa per l'ottenimenti del punteggio utile all'iscrizione nelle liste speciali deve notificare all'INPS ed alla Regione?
8) La dichiarazione di cui all'art. 152 disp.att. c.p.c. deve essere inserita tra le pagine del ricorso o in calce? Essa va sottoscritta dal ricorrente?
9) Per il riconoscimento della pensione d'inabilità conta anche il reddito del coniuge?
10) La soglia invalidante per l'attribuzione dell'assegno è salita all'85% o è rimasta com'era? Occorre l'iscrizione al collocamento ordinario o quello alle liste speciali oppure tutti e due?
11) Si sono modificati i requisiti medico-legali per la concessione dell'indennità di accompagnamento?
E così via. Ce ne sarebbero altri ma comunque mi fermo qui perchè voglio focalizzare la vs. attenzione sul quadro di enorme incertezza che incombe sugli operatori del settore che quindi debbono, lungi dalla pretesa del relatore di dare una risposta esauriente ed inconfutabile, avere qualche chiarimento.
Riconosco che oggi si sarebbe dovuto parlare essenzialmente dei profili di ammissibilità dei ricorsi in materia di handycap (L.104/92) per individuarne l'interesse ad agire giudizialmente tutelabile ai sensi dell'art. 100 c.p.c. e capire se l'eventuale sentenza possa essere solo dichiarativa o anche di condanna, ma è bene discutere anche di alcune questioni "calde" dopo il varo delle L. 69/09, 102/09 e 122/10, delle circolari INPS e delle sentenze di merito e di legittimità uscite nelle more.
Anche perchè , a parte il prossimo appuntamento del 24/11, non ci sarà più la possibilità di illustrare ad una platea più o meno consistente queste novità sino alla fine dell'anno e la discussione in materia di 104 fungerebbe solo da corollario di scenari più complessi ed eterogenei.
Chiarito quanto innanzi si passino in rassegna le domande cui si è fatto accenno nell'introduzione del presente lavoro:
1) dopo quanto tempo si può adire il magistrato dalla presentazione della domanda amministrativa alla luce della normativa vigente dal primo gennaio/10?
Prima di tutto occorre considerare che la normativa ha esordito recentemente e quindi i magistrati della sezione non sono ancora stati investiti in maniera massiccia dai profili di procedibilità o ammissibilità dei ricorsi presentati su istanze di gennaio/10 cui non è seguita convocazione a visita.
Come noto il DPR 698/94 ha previsto in 270 gg. la conclusione del procedimento amministrativo per la concessione o meno delle provvidenze in materia d'invalidità civile e sino ad oggi è stata la regola seguita dalla maggioranza degli operatori del settore (giudici, avvocati e patronati), cosicchè quando sono stati introdotti, primi il D.L.78/09 conv. in L. 102/09 che all'art. 20 comma 3 prevede l'inoltro telematico delle domande dal 01/01/10 non più all'ASL ma all'INPS e la circolare dell'ente n. 131 del 28/12/09 che al capo 1 comma 7 si prefigge di perfezionare in 120 gg. non solo l'iter amministrativo ma addirittura la concessione della prestazione (cioè il suo pagamento), si è posta la questione di gerarchie delle fonti. Ovvero: può una disposizione pur sempre proveniente da un ente pubblico - circolare - derogare una fonte legislativa anche se di rango secondario - decreto del presidente della repubblica - ? In sostanza, il termine di nove mesi è tacitamente abrogato dalla circolare amministrativa o è conveniente attendere per evitare d'incappare in una pronuncia d'improcedibilità?
Chi scrive ritiene che la soluzione è immediatamente disponibile grazie alla L. 69/09.
Questa norma, riscrivendo la famosa L. 241/90 regolante l'accesso agli atti amministrativi, così statuisce all'art. 2 comma 2: " Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni";
comma 3: "... Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza."
comma 4: " Nei casi in cui...sono indispensabili termini superiori a novanta giorni essi (termini n.d.r.) non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione".
comma 6: "I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte"
Con una formulazione letterale alquanto confusa sembra quindi che gli enti pubblici nazionali quali l'INPS, l'INPDAP, l'INAIL, l'IPSEMA etc. nei procedimenti di propria competenza abbiano un triplice termine - 30, 90 e 180 gg. - per definirli con un provvedimento espresso sia esso positivo o negativo.
Se volessimo dunque attagliare uno dei tre termini alla nuova procedura, dovremmo innanzitutto escludere il termine breve di 30 gg. perchè improponibile visto il passaggio macchinoso del fascicolo elettronico o cartaceo prima all'INPS, poi all'ASL e di nuovo all'INPS e poi perchè è proprio in questo lasso temporale mensile che l'INPS s'impone di convocare a visita i richiedenti non affetti da patologie oncologiche (15 gg. max. infatti per i malatti di patologie neoplasiche); parimenti è da scartare il termine di 180 gg. consentito solo eccezionalmente e sempre su espressa previsione normativa per un ristretto ambito di procedimenti amministrativi, quali per l'appunto l'acquisto della cittadinanza italiana e quelli relativi all'immigrazione.
Il termine dunque che residua e adottabile è quello di quattromesi: deve aver così ragionato anche l'Inps individuando il termine massimo di 120 gg. comprensivo di 90 gg. per l'istruttoria del procedimento e di 30 gg. per l'erogazione della provvidenza.
Sulla base di queste osservazioni occorrerebbe compulsare da subito la giustizia con ricorsi - pilota per testare l'orientamento dei nostri giudici richiamando tale normativa nel corpo degli atti introduttivi. Ciò darà vita, secondo me, ad un immane contenzioso giudiziario ma d'altro canto non è colpa nostra se l'INPS ha adottato tempistiche così contenute o se le ASL di Napoli e provincia non hanno gli stessi standard di quelle di Bolzano
2) le domande di revisione si presentano ancora in via cartacea oppure on-line? Per esse occorre allegare un certificato medico? ed in caso positivo deve essere su carta intestata del medico o telematico?
Prima di carburare, il sistema non ha dato istruzioni precise o, peggio, si è purtroppo segnalata una discrasia tra i propositi dell'INPS e le problematiche che ha dovuto affrontare in concreto. Infatti l'ente, che era già intervenuto in deroga a sanare le istanze presentate in via cartacea sino al 28/02/10, con il messaggio n. 7567 di marzo/10 si limita a chiarire che, per i verbali soggetti a revisione ed a conoscenza dell'istituto, sarebbero state predisposte automaticamente le visite con la creazione di una domanda virtuale; inoltre si intimava alle ASL di procedere a convocazione diretta ed infine, si prevedeva contraddittoriamente che il cittadino, in alternativa, potesse presentare una nuova istanza stampando il modulo fac-simile reperibile sul sito ed inviandolo per posta (!).
Il messaggio era chiaro solo su due punti: 1) per tutti i verbali che non hanno dato luogo a prestazione la domanda di revisione deve avvenire a cura dell'interessato; 2) alle domande di revisione non deve essere allegato un certificato medico se non nei casi di richiesta di visita domiciliare.
Quest'ultima precisazione è importante perchè, a detta di alcuni patronati, l'INPS richiede comunque il certificato medico contravvenendo a quanto disposto dallo stesso ente e quindi, a meno che il messaggio in parola non sia stato superato da uno successivo, ed a noi non risulta, la domanda di revisione, e veniamo ad oggi, si presenta on line con l'indicazione degli estremi del solo verbale o della sentenza e delle rispettive scadenze senza l'invio di un certificato medico telematico che d'altro canto non è contemplato nel modulo di revisione presente sul sito e con la dichiarazione effettuata ai sensi dell'art. 56 L. 69/09 che scongiura la pendenza di un procedimento amministrativo o giudiziario sulla stessa prestazione ex novo richiesta. A proposito della dichiarazione effettuata ai sensi dell'art. 56 L.69/09 veniamo alla prossima domanda.
3) Perchè l'INPS non accetta le domande presentate ex novo se è comunque conclusa la causa precedente?
Semplice: per lo stesso problema per il quale l'INPS richiede le desistenze agli avvocati quand'anche la sentenza sia stata emessa anni prima o la causa sia stata cancellata senza esito alcuno e cioè che, i dati, una volta inseriti nel terminale, non vengono aggiornati dal personale o dall'avvocatura INPS per cui le controparti, cioè noi ed i nostri clienti, ci facciamo carico di informare l'Istituto. Allo stesso modo, quando viene presentata una nuova domanda, nel sistema rimane traccia dei dati iniziali di un procedimento (ruolo generale, avvocato, Giudice e prima udienza) ed automaticamente la domanda telematica viene sospesa o rigettata. A questo punto occorre una desistenza e/o una dichiarazione dell'avvocato da recare brevi manu alla sede provinciale dell'INPS, che, consultandosi con il proprio ufficio legale, autorizza la prosecuzione. Se tuttavia nelle more scade l'efficacia del certificato medico che, ricordiamo ha trenta giorni di validità, riteniamo che la proposizione della domanda, una volta che l'INPS ne abbia validata la regolarità, abbia efficacia sospensiva del termine; in caso contrario è aperta la strada ad eventuali ricorsi o richieste di precisazioni da parte dei Patronati e degli utenti.
Sulla novità introdotta dall'art. 56 L. 69/09, cui si è accennato prima e per la quale non è consentito presentare nuove domande per lo stesso beneficio già invocato in sede amministrativa o giudiziaria, si rimanda alla relazione sul tema già esposta ad inizio anno in questa stessa sede e consultabile sui siti specializzati ed alla circolare INPS n. 97/09.
4) le sentenze che condannano il MEF devono essere notificate all'avvocatura dello Stato?
Le sentenza di condanna, derivanti da ricorsi presentati a far data dal 01/04/2007, nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze in via esclusiva o concorrente con l'INPS non devono essere notificati al Ministero presso la Direzione Generale Servizi Vari nè all'Avvocatura dello Stato ma all'INPS ai sensi dell'art. 20 comma 6bis D.L. 78/09 conv. in L. 102/09. Appare utile ricordare che, nelle cause in corte d'Appello, il Ministero è legittimato passivo anche se il procedimento di primo grado si sia concluso dopo l'introduzione della nuova normativa e quindi a tutto il 2010 per il principio del tempus regit actum e cioè quando il MEF era convenuto solidale ratione temporis nella vecchia disciplina (D.L. 269/03 conv. in L 326/03 e L. 248/05). Sulle difficoltà interpretative generate da queste ultime normative circa l'individuazione delle notifiche da effettuare al Ministero e sulla sua dubbia legittimazione passiva nei processi in materia di assistenza obbligatoria si rimanda anche qui ad un lavoro (profetico) affrontato da chi scrive e parimenti rinvenibile su Internet.
5) le verifiche effettuate dall'INPS invalidano le sentenze pur essendo queste passate in giudicato?
E' noto che la giurisprudenza in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria ha derogato al principio sancito dall'art. 2909 c.c. secondo cui la cosa giudicata fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. Nelle sentenze che ci riguardano ciò che "fa stato" è soltanto il riconoscimento medico legale cristallizzato sino al deposito della sentenza il quale, una volta che il titolo sia passato in giudicato, non è più contestabile. Secondo questo unanime principio, per il quale l'invalido può riscattarsi dalla sua situazione debilitante in epoca posteriore alla lite, nulla vieta alle amministrazioni competenti di convocare a visita e revocare o modificare in peius la prestazione giudizialmente riconosciuta o diminuire la percentuale d'invalidità. L'ovvio corollario di quanto detto è che i verbali ASL impugnati giudizialmente impongono all'invalido, che pure abbia trovato soddisfazione da una causa positiva, di sottoporsi a revisione se ivi contenuta o alle sedute di verifica presso l'INPS ai sensi delle L. 102/09 e 122/10.
6) Sono sempre proponibili i ricorsi in materia di 104/92? Ed in caso positivo a chi si notificano?
Ora più che mai lo status di invalido ai sensi dell'art. 3 comma 1 e 3 L. 104/92 e della L. 68/99 per il collocamento mirato può essere richiesto e perseguito in virtù di recenti sentenze di legittimità e di merito: tra le prime annoveriamo la sentenza di Cassazione n. 2691/09 ( dello stesso tenore Cass. n. 21480/05, 11161/03, 9146/02, 3374/01 e 483/00 Sez. un.) che annullando alcune risalenti pronunce (nn. 5973/98, 9861/03,6565/04), per altro poste a fondamento delle sentenze di rigetto di alcuni magistrati di questa sezione, ritiene ammissibile l'azione di accertamento dello stato invalidante a prescindere da qualsiasi domanda di erogazione di una determinata prestazione ; tra le seconde la pronuncia del 4.2.10 Dr. Donadio -Trib. di Torre Annunziata -. Utile anche il contributo del dr. Iacone, magistrato presso la Corte d'Appello, nella sua opera "l'invalidità civile" pagg. 272-276
Sulla notifica è certo che debba essere eseguita naturalmente all'INPS in quanto legittimato passivo esclusivo in materia anche se c'è una tesi minoritaria in sezione che prescrive la notifica al datore di lavoro in quanto soggetto che verrebbe investito dagli effetti della sentenza in ordine ai benefici connessi all'art. 33 L. 104/92 (prolungamento astensione facoltativa, permesso retribuito di tre giorni al mese o di due ore al giorno) che naturalmente l'azienda non corrisponde in proprio ma che potrebbero alterare o ledere l'organizzazione e la gestione del lavoro.
Un rapido accenno ancora sul punto e relativo alla ennesima modifica disposta dal legislatore in materia di permessi lavorativi disposta dal Collegato-Lavoro approvato il 18/10 c.a.
Beneficiari dei permessi
La prima sostanziale modificazione (introdotta dall’articolo 24 della nuova legge) investe il terzo comma dell’articolo 33 – che viene sostituito – e riguarda proprio la definizione degli aventi diritto ai permessi.
In assenza di ricovero della persona con handicap grave da assistere, potranno godere dei tre giorni di permesso mensile retribuiti e coperti da contributi:
1. il genitore;
2. il coniuge;
3. il parente o l’affine entro il secondo grado (esempio, nonni, nipoti in quanto figli del figlio, fratello).
I parenti ed affini di terzo grado (esempio, zii e bisnonni) possono fruire dei permessi lavorativi solo ad una delle seguenti condizioni:
a) quando i genitori o il coniuge della persona con handicap siano deceduti o mancanti; il termine “mancanti” presente nel testo di legge è ambiguo e si presta alle più diverse interpretazioni (non è residente con la persona da assistere? non è noto? c’è stata una disposizione giudiziaria? una separazione?) su cui gli istituti previdenziali avranno margine di proporre le loro interpretazioni e su cui vi saranno evidenti contenziosi.
b) quando i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto i 65 anni oppure siano affetti da patologie invalidanti.
Nella sostanza, le fortissime restrizioni "minacciate", risultano abbondantemente annacquate e confuse da una serie di eccezioni e sub-eccezioni.
Va anche sottolineato che scompaiono dalla normativa i requisiti di assistenza esclusiva e continuativa richiesti, in precedenza, nel caso il lavoratore non fosse convivente con la persona con disabilità. L’obbligo di convivenza era stato superato dall’articolo 20, comma 1, della legge 8 marzo 2000, n. 53 a condizione, appunto, che sussistesse la continuità e l’esclusività dell’assistenza. Ma ora quel comma viene parzialmente abrogato e proprio nella parte "restrittiva". Pertanto, oltre a non esserci obbligo di convivenza, nessuna fonte prevede più quelle condizioni.
Chi non rientra in questa casistica e che finora ha fruito dei permessi grazie la precedente normativa, si vedrà prossimamente revocare le agevolazioni concesse. Tuttavia, chi scrive ha l'impressione che con questa modificazione (nessun requisito di continuità ed esclusività) gli aventi diritto aumenteranno anzichè - come auspicato da parte del Governo - dimunire.
Per i genitori di bambini di età inferiore ai tre anni rimangono invariate le disposizioni precedenti – due ore di permesso giornaliero o prolungamento dell’astensione facoltativa di maternità fino al terzo anno di vita del bambino – e sembra introdotta, con la formulazione diversa del comma 3, anche la possibilità di fruire dei permessi articolati in tre giorni.
Sempre a proposito di genitori, il nuovo testo precisa che entrambi possono avvalersi, alternativamente, dei permessi anche all’interno dello stesso mese. Non si tratta di una novità sostanziale, visto che questa possibilità era già ampiamente applicata operativamente
Sede di lavoro
Il comma 5 dell’articolo 33 prevedeva che il lavoratore che assiste un familiare con handicap grave abbia diritto a scegliere, ove possibile, la sede più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso. Il primo è un interesse legittimo (peraltro molto aleatorio), ma il secondo è un vero e proprio diritto soggettivo.
Il testo approvato, opportunamente, indica come riferimento il domicilio della persona disabile da assistere, e non più quella dello stesso lavoratore.
7) Chi vuole intentare causa per l'ottenimenti del punteggio utile all'iscrizione nelle liste speciali deve notificare all'INPS ed alla Regione?
La risposta è offerta da Cassazione n. 10538/08 il cui principio di diritto è il seguente: "Nel regime successivo al trasferimento alle regioni delle funzioni del collocamento obbligatorio ed alle province dei compiti relativi all'iscrizione nelle relative liste, la domanda volta ad ottenere l'accertamento del diritto soggettivo all'iscrizione negli elenchi del collocamento obbligatorio e' ritualmente promossa nei confronti della provincia, trattandosi dell'amministrazione tenuta ad effettuare detta iscrizione in presenza dei requisiti di legge; detta legittimazione passiva, pertanto, non puo' escludersi per il fatto che, nel richiedere giudizialmente tale iscrizione, sia impugnata la valutazione medica espressa da un organismo - la commissione medica di verifica- operante nell'ambito del ministero e non della provincia".
Allo stato non sono in grado di affermare se ed in che misura questo principio sia stato recepito dalla Sezione - Lavoro di questo Tribunale nè se i miei colleghi abbiano coinvolto la Provincia in giudizio.
Quello che è certo deriva dalla mia esperienza professionale: ad oggi nessun magistrato ha invocato la suddetta pronuncia ai fini d'integrazione del contraddittorio. I prossimi mesi saranno determinanti a sciogliere il dubbio.
8) La dichiarazione di cui all'art. 152 disp.att. c.p.c. deve essere inserita tra le pagine del ricorso o in calce? Essa va sottoscritta dal ricorrente?
Anche qui dobbiamo distinguere la prassi nell'orientamento dei giudici napoletani rispetto alla giurisprudenza di legittimità maggioritaria ed a quella di merito: se infatti nella risposta al quesito precedente la pronuncia degli ermellini rappresenta un caso pressochè isolato, si registrano già diversi arresti della Cassazione e della Corte d’Appello di Napoli. Tra le prime annoveriamo la n. 1585 di gennaio/10 e Cassazione 10875/09 il principio di diritto delle quali è questo: “l'art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo modificato dal D.L. 269/2003, convertito in L. 326/2003, laddove onera la parte ricorrente che versi nelle condizioni reddituali per poter beneficiare dell'esonero dagli oneri processuali in caso di soccombenza di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione, va interpretato nel senso che tale dichiarazione deve essere formulata con il ricorso introduttivo di primo grado ed esplica la sua efficacia, senza necessità di ulteriore reiterazione, anche nei gradi successivi, come si evince dagli espressi riferimenti legislativi "all'anno precedente a quello di instaurazione del giudizio" e alle "conclusioni dell'atto introduttivo", nonchè dalla previsione del richiesto impegno di comunicare le variazioni reddituali eventualmente rilevanti "fino a che il processo non sia definito"; l'evoluzione di tali condizioni reddituali non è tuttavia indifferente, cosicchè, salvo sempre l'onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni dichiarate in ipotesi di contestazione, l'interessato deve dichiarare quelle variazioni che facciano venir meno le condizioni di esonero e, per converso, ove tali condizioni originariamente insussistenti si siano concretizzate nel prosieguo del giudizio, può rendere, se del caso anche nei gradi successivi, apposita dichiarazione nel senso richiesto dal succitato art. 152 disp. att. c.p.c. Inoltre, poichè della ricorrenza delle condizioni di esonero deve essere dato conto nell'atto introduttivo del giudizio, deve ritenersi l'efficacia della dichiarazione sostitutiva che, ancorchè materialmente redatta su foglio separato, sia espressamente richiamata nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e ritualmente prodotta con il medesimo”.
Tra le seconde la pronuncia n. 2672/09 della Corte d’Appello di Napoli, Presidente Del Bene, che rileva con questa originale formulazione:
“Pur se la lettera della norma parla di dichiarazione contenuta nelle conclusioni ritiene il Collegio che…sussista il requisito sostanziale per il fine specifico richiesto dalla legge.
Infatti si è in presenza di un atto complesso il cui contenuto dichiarativo viene ad estrinsecarsi in più parti ma pur sempre unificate dal vincolo della contestualità…ritiene il Collegio che dalla disamina complessiva del ricorso, con particolare riferimento allo specifico richiamo nelle conclusioni del ricorso alla “dichiarazione allegata in produzione” sia consentito ritenere la conoscibilità della situazione reddituale anche dagli enti pubblici convenuti finché essi possano compiere tempestivamente ogni utile accertamento al riguardo e possano, quindi, sollecitare il giudice a richiedere la produzione della “documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto” indicato in tale dichiarazione, ai sensi di quanto disposto dall’art. 79, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, espressamente richiamato nel nuovo testo dell’art. 152.
L’appellante può dunque utilmente invocare, sul piano sostanziale, il possesso del requisito di reddito…”
Se è consentito un accenno autoreferenziale si dica che proprio sulla base di queste considerazioni lo scrivente riteneva e ritiene oggi a maggior ragione che non è contemplata dalla norma di cui all’art. 414 e 442 c.p.c. (quelle per intenderci che attengono ai requisiti essenziali che deve contenere il ricorso introduttivo rispettivamente delle cause di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatoria) la dichiarazione di cui all’art. 152 disp.att. c.p.c. e che non è proprio possibile aggiungere, sull’atto tipico e proprio dell’avvocato alcuna ulteriore formulazione senza modificare preventivamente lo stesso codice di procedura civile.
Ne deriva che chi scrive perpetuerà nella sua teoria, ben confortata da giurisprudenza solenne, e che soprassiederà sull’apposizione della sottoscrizione in calce alla dichiarazione pur sempre contenuta nel ricorso.
9) Per il riconoscimento della pensione d'inabilità conta anche il reddito del coniuge?
No alla luce delle recenti sentenze della Suprema Corte: in particolare rammentiamo la n. 18825/08, n. 7259 del marzo/09 e la recentissima n. 20426 di settembre 2010 che valgono finalmente a comporre quella disparità di trattamento, più volte evocata dalle nostre difese, tra i riconoscimenti avvenuti in via amministrativa ed in via legale. Tutti questi arresti giurisprudenziali hanno finalmente interpretato correttamente le intenzioni del Legislatore il quale, con il D.L. 2 marzo 1974, n. 30, art. 3, convertito, in L. 16 aprile 1974, n. 114, recante norme per le pensioni sociali, ed intervenuto a modificare l’art. 26 della L. 153/69, si è sempre ed inequivocabilmente espresso sui limiti di reddito personali dell’invalido assoggettabili all'IRPEF, a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 3.
Ciò non escluderà, malgrado tutto, delle sorprese in tribunale visto che, alla mia domanda sulla opportunità di richiedere la situazione reddituale familiare e pur accennando alla sentenza di settembre c.a., il magistrato ha risposto testualmente: “si la conosco…se mi convincerà l’applicherò”.
10) La soglia invalidante per l'attribuzione dell'assegno è salita all'85% o è rimasta com'era? Occorre l'iscrizione al collocamento ordinario o quello alle liste speciali oppure tutti e due?
Alla prima domanda si replica ricordando che la formulazione contenuta nel D.L. 78/10, che pur prescriveva l’innalzamento della percentuale minima invalidante per la concessione dell’assegno dal 74% all’85%, non è passata in sede di conversione nella L. 122/10.
Il governo, come spesso capita, ha utilizzato il cd. “effetto-annuncio” per testare le reazioni degli operatori del settore e dell’opinione pubblica che non si sono fatte attendere: emblematico di questa rivolta, l’appuntamento che si sono dati le maggiori organizzazioni degli invalidi e mutilati civili sotto Montecitorio alla fine di giugno e nel quale i disabili (tra i quali molti giovani affetti da sindrome di down) hanno barattato il proprio handycap con la restituzione della pensione (letteralmente faccio a meno della mia pensione se voi politici vi prendete la mia disabilità!).
Per ciò che concerne invece il requisito dell’iscrizione alle liste speciali ex L. 68/99 si dà conto della novità introdotta dalla L. 247/07 che ha modificato l’art. 13 della L. 118/71.
In pratica dal primo gennaio/08 è venuto meno il requisito costitutivo dell’iscrizione nelle liste speciali del collocamento obbligatorio scalzato dalla disponibilità all’inserimento all’attività lavorativa prevista dal Decreto Legislativo n. 181/00. La prova relativa può essere fornita con la scheda anagrafica rilasciata dal competente ufficio per l’impiego o dalla cd. “striscetta” che pure contiene la dicitura ai sensi della normativa in disamina. E’ essenziale premunirsi, per i riconoscimenti dell’assegno d’invalidità civile anteriori al primo gennaio/2008, di entrambe le certificazioni: l’iscrizione o la richiesta d’iscrizione alle liste speciali ex L. 68/99 sino al 31/12/07 e la scheda anagrafica o atto equipollente dal 01/01/2008
11) Si sono modificati i requisiti medico-legali per la concessione dell'indennità di accompagnamento?
In teoria no. In pratica sembrerebbe di si. Spieghiamoci.
Nel giugno del 2010, mentre si discutevano le Misure “anti-crisi” (Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 che poi fu convertito definitivamente dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122), un emendamento di origine governativa tentò di modificare i criteri per la concessione dell’indennità di accompagnamento. Ne seguì una accesa protesta da parte delle Federazioni delle persone con disabilità (FISH e FAND) e una serrata discussione in Commissione Bilancio che portò al ritiro dell’emendamento.
Ricordiamo il testo dell’emendamento – presentato dal Relatore di Maggioranza – e poi ritirato.
“1-bis. La lettera b) del comma 2 dell’articolo 1, della legge 21 novembre 1988, n° 508 è così sostituita:
“b) ai cittadini nei cui confronti sia stata accertata una inabilità totale per affezioni fisiche o psichiche e che si trovino nella impossibilità permanente di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore, o, non essendo in grado di compiere il complesso degli atti elementari della vita, abbisognano di una assistenza continuativa”.
La prima condizione è chiara: l’indennità viene concessa nel caso di grave impedimento alla deambulazione, tanto grave da non potersi muovere senza l’aiuto di un accompagnatore.
L’emendamento spostava il termine “permanente”, precisando che l’impossibilità a deambulare deve essere permanente. Non è un aspetto marginale e lo spiegava bene la stessa relazione all’emendamento.
“Si prevede che il deficit della deambulazione debba essere permanente ed assoluto, tale da rendere siffatta funzione del tutto impossibile senza l’aiuto di un accompagnatore. Ai fini della costituzione dei requisiti medico-legali per il beneficio in parola non rilevano, perciò, deficit della deambulazione compensabili, anche parzialmente, con ausili quali mezzi di appoggio, protesi o ortesi”.
Cosa sarebbe cambiato? Facciamo un esempio concreto. Chi deambula lentissimamente e con enorme fatica con l’aiuto di un tripode, di due stampelle o di altri ausili, non avrebbe più ottenuto l’indennità di accompagnamento.
Atti quotidiani della vita
L’altra condizione, alternativa, per ottenere l’indennità di accompagnamento prende in considerazione la necessità di assistenza continua.
Nella normativa vigente si riconosce la necessità di assistenza continua quando una persona non è in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.
Ma cosa sono gli atti quotidiani della vita? Per capirlo bisogna rifarsi alla letteratura scientifica internazionale e italiana che sulla rilevazione, misurazione e valutazione dell’autonomia personale ha sviluppato una notevole e consolidata produzione.
Le scale di valutazione dell’autonomia personale sono ampiamente usate anche in Italia da decenni e si basano proprio sulla valutazione della capacità di esecuzione di atti quotidiani.
In ogni caso si distingue fra atti elementari e atti strumentali della vita quotidiana.
Sono atti elementari: fare il bagno (ricevere assistenza nel lavare non più di una parte del corpo); vestirsi (escluso l’allacciarsi le scarpe); uso del gabinetto (recarvisi con ausili, pulirsi e rivestirsi da solo); mobilità (alzarsi e sedersi sulla sedia senza appoggiarsi, usare il bastone); continenza (controllo completo di feci ed urine); alimentazione (escluso il tagliare la carne).
L’emendamento proposto dal Governo prevedeva che, per ottenere l’indennità di accompagnamento, la persona non dovesse essere in grado di compiere il complesso degli atti elementari della vita.
I risvolti, pertanto, sono due: in primo luogo il riferimento è al complesso degli atti e non solo ad uno o due di essi. È chiaro che la necessità di assistenza per tutti gli atti elementari si configura solo in casi gravissimi.
Inoltre, con la nuova definizione non si riteneva rilevante la necessità di assistenza continua nel caso di impossibilità allo svolgimento degli atti strumentali della quotidianità. la capacità di usare il telefono, di fare acquisti e gestire il denaro, di preparare il cibo, di governare la casa, di cambiare la biancheria, di usare i mezzi di trasporto, di essere responsabili nell’uso dei farmaci, di essere capaci di maneggiare il denaro.
Se dunque il governo si è ben guardato dal varare una siffatta legge, parimenti non possiamo dire dell’INPS che, con una circolare interna e non diffusa sul sito ufficiale ha ripreso, ha ripreso i principi dell’emendamento cassato dal Parlamento ai quali dovranno attenersi i medici, interni o convenzionati, dell’Istituto. E così: “i presidi ortopedici e protesici che rendano il soggetto autonomo nella deambulazione escludono il diritto all’indennità. Il requisito della permanenza implica la sussistenza di menomazioni anatomo-funzionali irreversibili e immodificabili da qualsiasi presidio”; oppure gli atti quotidiani della vita dovranno intendersi alla stregua del “complesso di attività che assicurano un livello basale di autonomia personale in un ambito per lo più intradomiciliare. Il prendere in considerazione le attività extradomiciliari, in ambienti complessi come le moderne metropoli, porterebbe, infatti, ad una valutazione talmente estensiva da superare l’ambito medico legale”. Laddove per attività extradomiciliari s’intende ad esempio: saper orientarsi, saper prendere un mezzo pubblico, saper chiedere aiuto o un’informazione che di conseguenza non avranno rilevanza ai fini valutativi. Tutto questo, si presume, darà luogo ad un’altra ed ulteriore valanga di ricorsi allorchè sarà provato che tale pericolosa circolare costituisca la bussola interpretativa delle commissioni sanitarie dell’INPS.
Giugliano lì, 15.11.10
Avv. P.P. Zambardino
P.S. L’INPS con messaggio n. 28110 del 9/11/10 ha esteso la validità del certificato medico da trenta a novanta giorni oltre a dettare nuove funzionalità della procedura telematica.