La Cassazione si pronuncia sulla peculiare fattispecie del familiare di collaboratore di giustizia onerato della prova della incollocamento al lavoro, ai fini dell'assegno mensile di assistenza (Cass. n. 1259/2011)

Testo della scheda sul sito della Cassazione:

"SENTENZA N. 1259 DEL 20 GENNAIO 2011

PREVIDENZA – INVALIDITA' CIVILE – PROVA DELL'INCOLLOCAMENTO AL LAVORO - FAMILIARE DI PERSONA SOTTOPOSTA A PROGRAMMA DI PROTEZIONE PER I COLLABORATORI DI GIUSTIZIA

La S.C. si è pronunciata per la prima volta, in tema di assegno di invalidità civile, in ordine alla prova del requisito -di cui all'art. 13 della l. n. 118 del 1971- di incollocamento al lavoro del richiedente, che sia familiare di persona sottoposta a programma di protezione per i collaboratori di giustizia, di cui al d.l. n. 8/91 conv. in l. n. 82/91.
Sentenza n. 1259 del 20 gennaio 2011
(Sezione Lavoro, Presidente F. Roselli, Relatore I. Tricomi)
"

Marco Aquilani, 10.02.2011

Il testo dell'atto

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 20 gennaio 2011, n. 1259

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 20 gennaio 2011, n. 1259

Assegno mensile di assistenza – prova dell'incollocamento al lavoro - familiare di persona sottoposta a programma di protezione per i collaboratori di giustizia - esonero dall'obbligo di iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio (sintesi non ufficiale)

In caso di domanda di assegno di invalidità civile ex art. 13 della legge n. 118 del 1971, presentata da soggetto sottoposto a programma di protezione per i collaboratori di giustizia, la sussistenza del requisito dell'incollocamento, non provabile attraverso l'impossibile iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio, deve essere accertato d'ufficio dall'INPS e può essere ritenuto dal giudice di merito attraverso elementi gravi, precisi e concordanti. (Massima non ufficiale)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Lucca respingeva la domanda di XX volta all'accertamento del suo diritto all'assegno di invalidità civile per il periodo settembre 1995-novembre 1998, negato in sede amministrativa in ragione della mancanza della prova del requisito della incollocabilità al lavoro previsto dall'art. 13 della legge n. 118 del 1971,ed alla conseguente condanna dell'Istituto al pagamento del relativo importo.
La XX proponeva appello deducendo di non aver potuto provare l'incollocabilità in quanto figlia convivente di soggetto sottoposto a programma di protezione previsto per i collaboratori di giustizia dal decreto legge n. 8 del 1991, convertito nella legge n. 82 del 1991. Ed infatti, la suddetta iscrizione sarebbe stata contraria agli obblighi contratti con l'inserimento nel programma di protezione del padre, che aveva comportato il trasferimento a Lucca del nucleo familiare e l'impossibilità di palesare la presenza e lo stato di persona sottoposta a protezione.
La Corte d'Appello di Firenze accoglieva l'appello e condannava l'INPS al pagamento alla XX dell'assegno di invalidità civile per il periodo dal settembre 1995 all'ottobre 1998, con gli interessi legali. Condanna, altresì l'istituto al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio, con distrazione a favore del difensore.
Ricorre per la cassazione della sentenza l'INPS formulando un motivo di ricorso.
L'intimata non ha spiegato difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo ed unico motivo di ricorso l'INPS ha dedotto la violazione dell'art. 13 della legge n. 118 del 1971, nonché dell'art. 2697 c.c. e dell'art.414 C.p.c.
Ad avviso del ricorrente, per un verso, la Corte d'Appello pur affermando che l'incollocarnento costituisce elemento costitutivo del diritto, la cui prova grava sull'interessato, avrebbe omesso di verificare la sussistenza dello stesso, per le ritenute ragioni di sicurezza.
In merito ha formulato il seguente quesito: se, in caso di domanda volta al riconoscimento di assegno di invalidità civile ex art. 13 della legge n. 118 del 1971, la sussistenza del requisito dell'incollocamento al lavoro, quale elemento costitutivo della fattispecie, debba essere comunque dimostrata dal ricorrente che sia sottoposto ad un programma di protezione per collaboratori di giustizia, anche ricorrendo agli ordinari mezzi di prova.
Per altro verso, assume il ricorrente, la Corte d'Appello riteneva la condizione della XX preclusiva della prova della sussistenza del requisito in questione. Di tal chè la odierna intimata è decaduta dalla possibilità di dimostrare nel presente giudizio l'incollocamento, che, in uno al possesso delle condizioni cliniche, conferisce il diritto alla provvidenza in esame. Con riguardo a tale profilo di illegittimità è stato prospettato il seguente quesito: se, in caso di domanda volta al risarcimento dell'assegno di invalidità civile ex art. 13 della legge n. 118 del 1971, essendo i requisiti economici elementi costitutivi della fattispecie, la mancata dimostrazione della loro sussistenza fin dal ricorso introduttivo del giudizio ovvero la mancata articolazione di relative istanze istruttorie comporti la decadenza dal diritto della prova, non emendabile in presenza di specifica contestazione.
Il motivo, così in sintesi riportato, non è fondato.
Vengono in rilievo distinti istituti, oggetto di autonome discipline di seguito richiamate.
Da un lato l'art. 13 della legge n. 118 del 1971 che disciplina la provvidenza dell'assegno mensile e fissa i requisisti di cui si deve essere in possesso per ottenerne la corresponsione; dall'altro il decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991 n. 82, recante norme in materia di protezione dei collaboratori di giustizia. In particolare l'art. 12 del suddetto decreto legge stabilisce gli impegni che assumono le persone sottoposte al programma di protezione, tra i quali osservare le norme di sicurezza prescritte e collaborare attivamente all'esecuzione delle misure.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n.203 del 1992, seguita da numerose decisioni conformi (fra le quali, Cass. n. 28852 del 2008) hanno stabilito il principio secondo cui ai fini del diritto all'assegno d'invalidità previsto dalla legge 30 marzo 1971, n. 118, art. 13, l'invalido è da ritenersi "incollocato al lavoro" non per effetto del mero stato di disoccupazione o non occupazione ma solo quando, essendo iscritto (o avendo presentato domanda d'iscrizione) nelle speciali liste degli aventi diritto al collocamento obbligatorio, non abbia conseguito un'occupazione in mansioni compatibili.
Tale principio deve essere condiviso.
Tuttavia, si pone all'attenzione della Corte una peculiare fattispecie che richiede un bilanciamento degli interessi tutelati dalle disposizioni di legge sopra richiamate.
Ed infatti, da un lato, esigenze di certezza del diritto rendono necessario individuare un dato oggettivo a cui ancorare uno dei requisiti per il riconoscimento dell'assegno mensile, dato che, tra l'altro, favorisce l'attuazione di un "collocamento mirato" degli invalidi, la cui buona riuscita presuppone, appunto, l'iscrizione nelle suddette liste coinvolti; dall'altro sussistono ragioni di giustizia in relazione all'attuazione delle misure, sopra richiamate, volte al contrasto della criminalità organizzata.
Pertanto, fermo quanto ritenuto da questa Corte sulla prova dell'incollocamento con la giurisprudenza sopra richiamata, deve essere affermato il seguente principio di diritto: "in caso di domanda di assegno di invalidità civile ex art. 13 della legge n. 118 del 1971, presentata da soggetto sottoposto a programma di protezione per i collaboratori di giustizia, la sussistenza del requisito dell'incollocamento, non provabile attraverso l'impossibile iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio, deve essere accertato d'ufficio dall'INPS e può essere ritenuto dal giudice di merito attraverso elementi gravi, precisi e concordanti".
La sentenza della Corte d'Appello è conforme ai suddetti principi.
Ed infatti, la Corte fiorentina, avuto riguardo alla fattispecie sottoposta al suo esame, ha ritenuto che il programma di protezione e gli impegni individuali con esso assunti dai soggetti protetti - tra i quali "prendere tutte le misure possibili per evitare che altri vengano a conoscenza della loro situazione di persone sottoposte a protezione, comunicando il loro attuale domicilio, il loro recapito tel. etc" - impedivano alla XX la richiesta iscrizione nella lista del collocamento obbligatorio di Lucca, nell'ambito di una più generale limitazione ad esternazioni sulla propria esistenza, sul proprio stabilimento su una data parte del territorio nazionale, sul proprio status di collaboratore o familiare di quest'ultimo.
Diversamente, assumeva il giudice di appello, la stessa avrebbe messo a repentaglio potenziale la vita e l'incolumità sua e dei suoi familiari e sarebbe venuta meno all'obbligo impostole dalla delibera di protezione a tutela delle esigenze di
giustizia sotto stanti alla disciplina introdotta nel 1991 per un più efficace contrasto della criminalità organizzata.
Pertanto la Corte d'Appello ha ritenuto che il provvedimento che negava la provvidenza in questione era illegittimo perché non teneva conto di tale impedimento di carattere assoluto non solo alla iscrizione ma allo stesso espletamento di attività lavorativa da parte dell'interessata, che quindi era intrinseca condizione d'incollocabilità.
Il giudice del gravame, dunque, attraverso elementi gravi, precisi e concordanti riteneva sussistente la prova dell'incollocamento della XX.
Il ricorso pertanto, deve essere rigettato.
Nulla per le spese ai sensi dell'art. 152 delle disp. atto C.p.c. nel testo precedente all'entrata in vigore del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma il 16 dicembre 2010

Il Presidente
F. Roselli
Il Consigliere estensore
I. Tricomi

Depositato in cancelleria il 20 gennaio 2011