Prove di rientro nel sistema generale delle controversi previdenziali e assistenziali per le componenti non sanitarie: specificità delle prescrizioni, decadenze; particolarità del contributo unificato e delle spese processuali.
4.1. Decadenza e Prescrizione.
Superata la specificità delle vertenze in tema di invalidità civili e pensionistiche, il discorso può rientrare in alvei più generali con ulteriori specificità riguardante il tema - trattato anch’esso dall’ art. 38 - delle prestazioni previdenziali in generale per i profili riguardanti il regime della decadenza e prescrizione integrato dall’articolo 38 per profili che superano l’ambito delle invalidità per riguardare tutte le prestazioni pensionistiche e “temporanee” gestite dall’INPS con esclusione di quelle assistenziali di cui al precedente punto 2.
Le modifiche hanno toccato l’articolo 47 della legge 639/1970 il cui testo originario disponeva che “Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'Istituto o dalla data di scadenza del termine omissis. Per le controversie in materia di prestazioni temporanee l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente comma “”. Rispetto a questo testo l’articolo 38 prevede che: 1) all’articolo 47 è aggiunto: “Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte.”; 2) dopo l’articolo 47 è inserito il seguente:“47-bis. 1. Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 -della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni.”
4.2. L’impianto del giudizio: il contributo unificato per le controversie previdenziali nell’ambito del sistema generale.
Per l’avvio della vera e propria fase giudiziale gioca un ruolo importante il Contributo unificato e la sua gestione che riguarda anche le vertenze in materia di previdenza e assistenza sociale nei termini oggi previsti dal D.L. n. 98/2011 (legge n. 111/2011) che all’ art.37, comma 6 adegua l’articolo 9 del Testo Unico sulle Spese di Giustizia, introducendo, appunto, il contributo unificato per le controversie in detta materia e quelle individuali di lavoro e rapporti di pubblico impiego. Per tali procedimenti affermata l’obbligatorietà, è fissata una soglia comune di esenzione soggettiva corrispondente a tre volte l'importo previsto dall'art. 76 del D.P.R 115/2002, pari ad euro 31.884,48. Oltre tale limite vale il contributo dell’art. 13, co.1, lett. a) del D.P.R. 115/2002.
In generale, i contributo unificato, è una tassa (ha natura tributaria a tutti gli effetti) sulle cause civili e amministrative, che si paga all'inizio del procedimento al momento in cui si va a depositare la causa in tribunale per la iscrizione a ruolo), di solito in tabaccheria; è condizione, quindi, per la iscrizione a ruolo della causa.
Nei suoi termini generali: - è di importo diverso a seconda del valore e del tipo di causa; - per le cause ordinarie si segue una tabella prevista dalla legge che le divide, appunto, a seconda **del tipo di procedura e in alcuni casi anche a seconda del valore; - si applica per ciascun grado di giudizio; - è aumentato della metà per i giudizi di impugnazione; - è raddoppiato per i processi dinanzi alla Corte di Cassazione;- se il difensore non indica il proprio indirizzo di PEC e il proprio numero di fax o qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale, è aumentato della metà.
E’ notevole, insomma, l’intento di rispettare la sua funzione di tassa, differenziandolo in base alla complessità della causa e del disagio arrecato o non nella relativa gestione, restando a nostro avviso sullo sfondo l’obiettivo deflattivo volto a scoraggiare l’abuso del processo sul piano economico, anche se il valore del contributo potrà essere forse significativo soprattutto per le cause previdenziali e del lavoro.
4.3. Controversie previdenziali e regime delle spese nell’aggancio al gratuito patrocinio.
Con l’espressione regime delle spese si fa riferimento a un complesso di istituti che, accomunati dal fatto che incidono in vario modo sulla capacità e possibilità del soggetto di sostenere gli oneri di un giudizio nell’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, sono riferibili alle spese del precedente punto 4.2. rientranti fra le spese di giustizia, al gratuito patrocinio, all’esonero dalle spese di soccombenza.
Detto regime nelle controversie previdenziali e d’assistenza è disciplinato in modo diverso rispetto al rito ordinario poiché, mentre l’art. 91 c.p.c. dispone, in generale, che la parte soccombente rimborsi le spese di lite alla controparte vittoriosa, nel processo previdenziale si applica l’art. 152 disp. att. c.p.c. che, nella sua originaria formulazione, prevedeva l’esonero dalle spese di giudizio (e cioè l’esonero dal rimborso all’INPS o INAIL, per lo più delle spese) per il lavoratore che avesse intrapreso una causa previdenziale e fosse risultato soccombente nei confronti degli enti previdenziali.
La norma è stata modificata dall’art. 42, comma 11, d.l. 269/2003 (legge 326/2003) che dispone che, ferma restando la responsabilità processuale aggravata per lite temeraria, la parte soccombente non debba essere condannata alle spese di lite solo se sia titolare, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini Irpef pari o inferiore a due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi dell’art. 76, commi da 1 a 3, e 77 del T.U. in materia di spese di giustizia di cui al D.P.R. n. 115/2002.
Questo riferimento consente di richiamare l’altro dei tre aspetti della “gratuità ( o meno) dello stare in giudizio, riguardante non le spese “per il Tribunale” non le spese da rifondere alla controparte vincente ma le spese da sostenere per la propria assistenza legale. Soccorre a quest’ultimo riguardo Il riferimento è, dunque, alla legge sul gratuito patrocinio che individua il requisito per l’ammissione a quest’ultimo: - prendendo a riferimento il reddito dell’istante e, se convivente, dell’intero nucleo familiare risultante dallo stato di famiglia;- computando anche i redditi che per legge sono esenti dall’IRPEF (quali ad esempio, l’indennità di accompagnamento e la, rendita INAIL, la casa di abitazione …) o che siano soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo di imposta ovvero ad imposta sostitutiva.
E’ evidente, per inciso, come anche in questo caso possa essere auspicabile una riforma dell’ISEE che consenta di prendere a riferimento detto valore, meglio equilibrato in termini equitativi, anche per le questioni giudiziarie.
E’ evidente, inoltre, come il sistema sia stato profondamente modificato rispetto alla originaria impostazione che partiva da una considerazione di debolezza aprioristica assunta di fronte all’INPS del lavoratore per farne, anche in questo caso, un ”fatto di soldi”, di disponibilità economica dell’attore da valutare secondo i criteri del gratuito ispirati agli artt. 24 e 111 della Costituzione che riconoscono a tutti la possibilità di ricorrere al sistema giudiziario a tutela delle proprie ragioni. Nel quadro dei principi di attuazione del dettsto costituzionale in termini di compatibilità finanziaria, quindi, la normativa statale sulle spese di giustizia e sul gratutito patrocinio individua parametri convenzionali di “bisogno” in presenza dei quali l’interessato può far valere i propri diritti avvalendosi di legali, consulenti a quant’altro riconosciuto necessario spese dello Stato (dirette o con rimborso.
In questa sede ricognitiva richiamiamo questi temi - di primaria competenza dei legali delle parti anche per la necessaria consulenza e ponderazione dei casi – sempre al limitato scopo di far cogliere, pur grossolanamente, come l’instaurazione di un contenzioso con gli enti di previdenza sia continuamente “arricchito” di aggiustamenti, vincoli, percorsi obbligati che – in gran parte comuni ai giudizi civili in generale – confermano la volontà del legislatore di disincentivare il ricorso agli strumenti giurisdizionali quale meccanicistico percorso da esaurire con gravoso impegno, anche se con spese ridotte, di fronte al diniego di un diritto o prestazione.
4.4 .Controversie giudiziarie e pagamento delle spese
Con lo stesso obiettivo, un altro elemento da valutare – da parte di chi, come gli operatori di Patronato, abbia responsabilità d’informazione e consulenza a tutto campo, anche non solamente previdenziale - sono le questioni attinenti ad alcuni temi collegasti fra loro per il comune denominatore di essere potenziali fonti di costo per chi voglia o debba intraprendere un’azione legale e quindi anche per i lavoratori nei casi in cui non scattino i parametri di esonero prima citati oltreché per cause diverse da quelle previdenziali. Si tratta, fra l’altro di:
- Il tema della responsabilità delle parti per le spese (a chi spetta pagarle, insomma)
- Il tema dei danni processuali (quelli, cioè che una parte possa creare all’altra con il proprio comportamento processuale, indipendentemente dal merito della questione;
- La questione dei connotati e limiti dell’abuso del processo.
E’ un insieme di questioni tutte collegate fra loro, di estrema delicatezza per i principi di ordine generale che coinvolgono e per le tesi che sul piano teorico si confrontano sui vari addendi di questa complessità.
Per questo, riguardo al primo dei tre aspetti ora richiamati il legislatore ha ritenuto di mantenere fermo il criterio della soccombenza (paga chi perde la causa) senza far prevalere considerazioni legate al livello di responsabilità (colpevole o dolosa) del perdente o altri criteri. Più in generale, poi, con alcuni correttivi si cerca di colpire comunque l’utilizzo abusivo della giurisdizione per la soluzione dei conflitti, ovvero garantirne, lite pendente, un sicuro approdo ad una rapida decisione, scevra da comportamenti dilatori, sleali e scorretti; senza escludere, quindi, la opportunità di ridimensionare l’esclusività del criterio di soccombenza con altri criteri, ugualmente idonei a condannare le condotte abusive della parte, prima e nel corso del processo.
In questa ricerca di nuovi equilibri, di recente, il Legislatore ha ribadito l’interesse per il tema dell’abuso dello strumento processuale e per la necessità di un migliore equilibrio della relativa disciplina che eviti, in ogni caso, la piena discrezionalità del giudice con il D.M. 140/2012 e con la legge 132 dello stesso anno che si riportano in nota.
In generale, comunque, l’intero impianto frutto dei provvedimenti degli ultimi tre anni conferma la scelta per un regime volto a disincentivare l’abuso del diritto – ma anche, aggiungiamo noi, lo stesso uso per valori che ne valga la pena. - allo scopo di ottimizzare, anche nell’ottica del contenimento della spesa pubblica, l’uso della giustizia civile.
Invero, l’abuso delle risorse (umane e finanziarie), alterando il sistema della giustizia, provoca disservizi e inefficienze del sistema pubblico di definizione delle controversie. Da ciò la scelta di non agire sulle cause endogene del sistema giustizia ma di colpevolizzarne – in definitiva- gli utenti con aumento delle spese, con il rendere defatiganti i percorsi, accrescendo comunque il ruolo di intermediari, professionisti ecc., abbattendo diritti e livelli di tutela, accrescendo i costi (certi e incerti in quanto legati all’esito del giudizio), eliminando di fatto fasi del percorso giurisdizionale, provando a far passare l’obbligatorietà della mediazione civile (vanificata dal pronto intervento della >Consulta. Fingendo, per quanto più direttamente riguarda i tempi previdenziali che si possano fare centinaia di migliaia di controlli medico legali con le ridotte forze disponibili in INPS, enfatizzando il ruolo dei CTU facendo dimenticare come gli stessi sono scelti al di fuori di statistiche circa la coincidenza dell’oggetto della consulenza con la professionalità specifica.