Sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione sul diritto del genitore o del familiare convivente con una persona disabile di scegliere la sede lavorativa più vicina al suo domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso: si tratta di un diritto non incondizionato, in quanto non può essere esercitato ove finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro (Cass. SS.UU., n. 7945/2008)

In estrema sintesi, la motivazione della Suprema Corte è la seguente:

- l'art. 33 della L. 104/1992 statuisce che il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede;

- la posizione di vantaggio ex art. 33 si presenta come un vero e proprio diritto soggettivo di scelta da parte del familiare-lavoratore che presta assistenza con continuità a persone che sono ad esse legate da uno stretto vincolo di parentela o di affinità;

- la ratio di una siffatta posizione soggettiva va individuata nella tutela della salute psico-fisica del portatore di handicap nonché in un riconoscimento del valore della convivenza familiare come luogo naturale di solidarietà tra i suoi componenti;

- nonostante l'innegabile sua portata sociale, l'artt. 33 cit. non può però far ritenere che, il diritto di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito in altra sede senza consenso, sia un diritto assoluto o illimitato in quanto presuppone, oltre agli altri requisiti esplicitamente previsti dalla legge, altresi la compatibilità con l'interesse comune posto che secondo il legislatore - come è dimostrato anche dalla presenza dell' inciso "ove possibile" - il diritto alla tutela dell'handicappato non può essere fatto valere quando il relativo esercizio venga a ledere in maniera consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può tradursi soprattutto per quel che riguarda i rapporti di lavoro pubblico - in un danno per la collettività;

- in tal caso, quindi, il diritto del familiare-lavoratore deve bilanciarsi con altri interessi, che trovano anche essi una copertura costituzionale, sicchè il riconoscimento del diritto del lavoratore- familiare può - a seconda delle situazioni fattuali a fronte delle quali si intenda farlo valere - cedere a rilevanti esigenze economiche, organizzative o produttive dell'impresa, e per quanto riguarda i rapporti di lavoro pubblico, ad interessi della collettività ostativi di fatto alla operatività della scelta ex art. 33, coma 5, della L. 104/1992.

Le Sezioni Unite, sulla scorta di tali considerazioni, enunciano il seguente principio di diritto: "Alla stregua dell'art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992 n. 104, il diritto del genitore o del familiare lavoratore che assiste con continuità un handicappato di scegliere la sede lavorativa più vicino al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso non si configura come un diritto assoluto o illimitato perché detto diritto può essere fatto valere allorquando - alla stregua della regola di un equo bilanciamento tra i diritti, tutti con rilevanza costituzionale - il suo esercizio finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro e per tradursi - soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporti di lavoro pubblico - con l'interesse della collettività. Considerazioni queste la cui prova fa carico sulla parte datoriale privata e su quella pubblica ”.

Marco Aquilani, 19.05.2008

Il testo dell'atto

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 27 marzo 2008, n. 7945

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 27 marzo 2008, n. 7945

art. 33, 5° comma, L. 104/1992 - diritto alla scelta della sede di lavoro ed a non essere trasferito senza consenso - non è un diritto incondizionato - non può essere esercitato ove finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro

Il diritto del genitore o del familiare convivente con una persona disabile di scegliere la sede lavorativa più vicina al suo domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso non è un diritto incondizionato, in quanto non può essere esercitato ove finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro.

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Il Tribunale di Foggia dichiarava il diritto della ricorrente D.L., moglie convivente di V.S., portatore di handicap, al posto di lavoro presso la Segreteria della Commissione provinciale tributaria di Bari, nel momento dell'assegnazione delle sedi di lavoro, disposta a conclusione della procedura concorsuale indetta dal Ministero dell'Economia e delle Finanze-Dipartimento delle Dogane, cui la stessa aveva partecipato; condannava il suddetto Ministero a rimborsare alla D.L. le spese sostenute a seguito della illegittima assegnazione presso la segreteria della Commissione di Lodi, liquidandole in complessive euro 3.904,33, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.; rigettava le altre istanze azionate dalla D.L. per il risarcimento del danno per disagio ed usura psico-fisica nonché alla vita di relazione, alla serenità familiare ed alla salute del coniuge; poneva a carico del Ministero le spese processuali sostenute dalla D.L. per la procedura cautelare ante causam e per il giudizio.

Avverso tale sentenza proponevano appello principale il Ministero e l'Agenzia delle Dogane ed incidentale la D.L.

La Corte d'appello di Bari, con sentenza del 1 settembre 2006, rigettava ambedue i reclami. Osservava la Corte territoriale - per quanto rileva anche in questa sede - che contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero, la giurisdizione apparteneva al giudice ordinario in quanto il thema decidendum riguardava un momento successivo alla conclusione del concorso, e cioè il momento dell'assunzione al lavoro, che era avvenuta, a seguito di contratto del 5 dicembre 2001, in epoca successiva al 30 giugno 1998.

Nel merito, inoltre, la pretesa della D.L. si palesava fondata perché non ledeva alcun interesse della pubblica amministrazione riscontrandosi a Bari un posto vuoto in organico da assegnare ai vincitori e avendo la D.L. tempestivamente portato a conoscenza dell'Amministrazione pubblica la sua situazione familiare. Con riferimento alla domanda di risarcimento dei danni subiti dalla D.L., per avere dovuto lavorare a Lodi invece che a Bari, il giudice d'appello confermava anche su tale punto la decisione del primo giudice che aveva riconosciuto alla lavoratrice unicamente le spese per i viaggi e per le rette corrisposte in ragione della sua residenza nel luogo di lavoro, nonché gli esborsi affrontati per fare valere in giudizio un suo diritto ingiustamente leso.

L'appello incidentale non poteva trovare invece accoglimento perché non potendosi condividere l'assunto della D.L. che il danno esistenziale era in re ipsa, e perché il danno biologico postulava la prova specifica di alterazioni psico-fisiche pregiudizievoli alla salute del lavoratore, nel caso di specie mancante.

Avverso tale decisione il Ministero e l'Agenzia delle Dogane propongono ricorso principale incidentale, affidato a quattro motivi.

Resiste con controricoso la D.L., che spiega ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo, illustrato anche con memoria.

Il Ministero spiega controricorso al ricorso incidentale.

Non si è costituito in giudizio A.A.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1. Ai sensi dell'art. 335 C.p.c, il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti perché proposti ambedue contro una medesima decisione.

2. Con il primo motivo del ricorso principale il Ministero deduce violazione delle norme e dei principi in materia di giurisdizione con riferimento all'art. 63 del d. 19s. 165 del 2001 (art. 360 n. l c.p.c.). In particolare assume il ricorrente che nel caso di specie deve riconoscersi la giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di controversia riguardante la procedura concorsuale, atteso che la graduatoria definitiva teneva conto, non solo del punteggio di merito, ma anche dei titoli preferenziali idonei ad incidere sulla graduatoria stessa, sicché non era di scarso rilievo la circostanza che la D.L. avesse avanzato la richiesta di scelta anteriormente alla formazione della graduatoria ed alla conclusione della procedura concorsuale; il che induceva a concludere che l'esercizio del diritto di cui all'art. 33 della legge 104 del 1992 era avvenuto nell'ambito della procedura concorsuale.

Con il secondo motivo del ricorso il Ministero lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 nonché omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Sostiene al riguardo il ricorrente che il giudice d'appello, nel rigettare il gravame da esso proposto, ha errato nel qualificare la posizione di vantaggio ex art. 33 citato come un vero e proprio diritto soggettivo di scelta nella sede più vicina in capo al lavoratore-familiare del portatore di handicap; ed ha ugualmente errato nel reputare che spettasse al datore di lavoro fornire la prova di un interesse organizzativo della pubblica amministrazione volto ad impedire l'esercizio del diritto del familiare del disabile a tale scelta. Di contro il legislatore, nell'ambito della disciplina di cui alla "legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate"(legge n. 104 del 1992) ha introdotto il diritto di scelta prioritaria in sede concorsuale, ma lo ha fatto solamente in favore dei soggetti portatori di handicap vincitori di concorso, ed analogo diritto di scelta non ha inteso invece prevedere con l'art. 33, quinto comma, in favore dei dipendenti vincitori di concorso pubblico che assistono familiari entro il terzo grado portatori di handicap. In altri termini una diversa interpretazione del citato art. 33 finirebbe per risolversi in una surrettizia introduzione di un titolo di precedenza non espressamente previsto ed anzi escluso - dal legislatore.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell' art. 132 n. 4, degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., degli artt. 2043 e 2697 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, deducendo che non era risarcibile il danno consistente nel pagamento delle rette corrisposte dalla ricorrente perché la prima assegnazione a Lodi era da ritenersi legittima, ed assumendo altresì che non era dovuto neanche il ristoro per spese dei viaggi effettuati, la cui frequenza era dovuta a libera scelta della D.L..

Con il quarto motivo il Ministero deduce infine violazione e falsa applicazione dell 'art. 112 c.p.c. e delle regole in tema di litisconsorzio necessario per omessa partecipazione degli altri dipendenti collocatisi in posizione migliore di essa D.L. stante la incidenza di una pronunzia favorevole su tutta la graduatoria ed, in particolare, sulla sede da assegnare agli altri dipendenti in seguito alla nuova scelta dell' A., altro concorrente.

3. Esigenze di un ordinato iter argomentativo inducono all'esame del primo e quarto motivo del ricorso attinenti a questioni che si antepongono sul piano logico-giuridico al secondo e terzo motivo.

4. Detti motivi sono infondati.

4.1. La Corte territoriale ha opportunamente rimarcato come i giudici di legittimità abbiano affermato : che deve riconoscersi - stante il carattere generale della giurisdizione del giudice ordinario in relazione ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche (art. 63, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), a fronte del quale la perpetuazione della giurisdizione del giudice amministrativo (prevista dal comma 4 dello stesso art. 63) riveste una portata limitata ed eccezionale - la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie nelle quali, sul presupposto della definitività della graduatoria, e senza in alcun modo censurare lo svolgimento del concorso ed il relativo atto finale, si faccia valere il diritto alla nomina alla qualifica superiore cui si aspiri, specificamente contestando l'utilizzazione della graduatoria alla stregua di circostanze successive all'esaurimento del concorso (e ad esso estranee), denunziate come ostative alla nomina alla detta qualifica di altri aspiranti nei cui confronti si rivendichi una posizione preferenziale(cfr. in tali sensi: Cass., Sez. Un., 3 febbraio 2004 n. 1989 cui adde, più di recente, Cass., Sez. Un., 20 giugno 2007 n. 14290); e che ai fini della individuazione della giurisdizione deve farsi riferimento al momento dell'assunzione al lavoro, e più precisamente al momento del conferimento dell' incarico rispetto al quale la procedura concorsuale si pone come fase antecedente nonché strumentale della scelta di nuovi dipendenti tra gli aspiranti (cfr. al riguardo: Cass., Sez. Un., 27 gennaio 2004 n. 1478).

4.2. Orbene, nel caso di specie, con un accertamento di fatto non contestabile in questa sede di legittimità né specificamente censurato, i giudici d'appello hanno evidenziato che al riferimento cronologico che il Ministero ha fatto al bando di concorso va contrapposta l'assunzione della D.L. con contratto, che per essere intervenuto tra le parti il 5 dicembre 2001, determina - ratione

temporis per essere successivo alla data del 30 giugno 1998 - la giurisdizione del giudice ordinario stante il disposto dell'art. 45, comma 17, del d. Lgs n. 80 del 1998 (ora art. 69, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001).

4.3. La circostanza che il thema decidendum non investe la procedura concorsuale ma l'atto di assunzione al lavoro della D.L. rivela poi la infondatezza del quarto motivo del ricorso in quanto l'eccepita nullità della sentenza impugnata - per il mancato rispetto dei principi del litisconsorzio necessario e per la carenza di un completo contraddittorio tra le parti del giudizio - si incentra su interessi attinenti alla procedura concorsuale laddove nel caso di specie, come si è visto, la lite ha per oggetto il diritto sorto con l'assunzione al lavoro e, quindi, in un tempo successivo all' esaurimento della procedura concorsuale.

5. Anche il secondo ed il terzo motivo del ricorso risultano privi di fondamento.

6. L'art. 33 della legge 5 febbraio 1992 n. 104 statuisce che il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

6.1. Come ha osservato correttamente il giudice d'appello la posizione di vantaggio ex art. 33 si presenta come un vero e proprio diritto soggettivo di scelta da parte del familiare-lavoratore che presta assistenza con continuità a persone che sono ad esse legate da uno stretto vincolo di parentela o di affinità.

La ratio di una siffatta posizione soggettiva va individuata nella tutela della salute psico-fisica del portatore di handicap nonché in un riconoscimento del valore della convivenza familiare come luogo naturale di solidarietà tra i suoi componenti. A tale riguardo va evidenziato che la Corte Costituzionale ha rimarcato la rilevanza anche a livello della Carta fondante delle indicate finalità perseguite dalla disposizione in esame. Ed invero il giudice delle leggi – nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma 5 del citato art. 33, sollevata in riferimento all' art. 3 della Costituzione nella parte in cui tale norma riconosce il diritto del lavoratore dipendente a scegliere la sede più vicina al proprio domicilio - ha affermato che la suddetta disposizione richiede come condizione che il lavoratore sia convivente con l'handicappato; ed invero la maggior tutela accordata all’ipotesi in cui il portatore di handicap riceve già assistenza rispetto a quella – altrettanto meritevole di tutela - ma diversa in cui il lavoratore non è convivente, e si rende quindi necessario il suo trasferimento per attendere alle cure del congiunto - lungi dai rappresentare una discriminazione ingiustificata, costituisce una scelta discrezionale del legislatore non irragionevolmente finalizzata alla valorizzazione dell'assistenza familiare del disabile, allorquando corrisponda ad una modalità di assistenza in atto, la cui speciale salvaguardia valga ad evitare rotture traumatiche e dannose alla convivenza (cfr. : Corte Cost. ord. n. 325 del 1996).

6.2. In questa occasione la Corte costituzionale ha avuto modo anche di ricordare come esaminando alcuni profili della legge n. 104 del 1992 ne abbia già sottolineato l'ampia sfera di applicazione, diretta ad assicurare, in termini quanto più possibile soddisfacenti, la tutela dei portatori di handicap, ed ha aggiunto anche che essa incide sul settore sanitario e assistenziale, sulla formazione professionale, sulle condizioni di lavoro, sulla integrazione scolastica, e che in generale dette misure hanno il fine di superare - o di contribuire a fare superare - i molteplici ostacoli che il disabile incontra quotidianamente nelle attività sociali e lavorative e nell' esercizio dei diritti costituzionalmente protetti (cfr.sentenza n. 406 del 1992).

7. Nonostante l'innegabile sua portata sociale la disposizione scrutinata non può però far ritenere che il diritto del genitore o del familiare lavoratore dell'handicappato di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito in altra sede senza il suo consenso sia un diritto assoluto o illimitato in quanto presuppone, oltre agli altri requisiti esplicitamente previsti dalla legge, altresì la compatibilità con l'interesse comune posto che secondo il legislatore - come è dimostrato anche dalla presenza dell' inciso "ove possibile" - il diritto alla tutela dell'handicappato non può essere fatto valere quando il relativo esercizio venga a ledere in maniera consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può tradursi soprattutto per quel che riguarda i rapporti di lavoro pubblico - in un danno per la collettività (cfr.: Cass. 29 settembre 2002 n. 12692). In questo caso quindi il diritto del familiare-lavoratore deve bilanciarsi con altri interessi, che trovano anche essi una copertura costituzionale, sicchè il riconoscimento del diritto del lavoratore- familiare può - a seconda delle situazioni fattuali a fronte delle quali si intenda farlo valere - cedere a rilevanti esigenze economiche, organizzative o produttive dell'impresa,e per quanto riguarda i rapporti di lavoro pubblico, ad interessi della collettività ostativi di fatto alla operatività della scelta ex art. 33, coma 5, del d. Lgs. n. 104 del 1992.

7.1. La prova della sussistenza delle ragioni impeditive del diritto alla scelta delle sede fa carico poi,contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero, sul datore di lavoro. A tale conclusione conducono la lettera della legge, la considerazione che le ragioni da provare sono a diretta e più agevole conoscenza del datore di lavoro, ed infine il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità in tema di trasferimento ex art. 21103, ultimo comma, c.c.(per l'affermazione che le ragioni tecniche, organizzative e produttive, poste a base del trasferimento da una unità produttiva ad altra del lavoratore, debbano essere provate dal datore di lavoro cfr. ex plurimis : Cass. 22 marzo 2005 n. 6117, Cass. 15 maggio 2004 n. 9290).

7.2. Alla stregua di quanto sinora esposto la sentenza impugnata - dopo avere proceduto ad una attenta valutazione delle risultanze istruttorie – ha riconosciuto il diritto della D.L. alla sede dalla stessa richiesta, per esservi un posto vuoto in organico a Bari, per essere stato tale posto riservato ai

vincitori del concorso e per avere la lavoratrice portato a conoscenza dell'amministrazione la sua situazione familiare. Di contro non è stato provato dal Ministero un interesse organizzativo di segno contrario né un darmo per la collettività dalla assegnazione delle sede di Bari alla D.L..

7.3. Per concludere sul punto, la sentenza impugnata va confermata avendo fatto corretta applicazione del principio di diritto che, ai sensi dell'art. 384, comma l, c.p.c., va cosi enunciato: “Alla stregua dell'art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992 n. 104, il diritto del genitore o del familiare lavoratore che assiste con continuità un handicappato di scegliere la sede lavorativa più vicino al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso non si configura come un diritto assoluto o illimitato perché detto diritto può essere fatto valere allorquando - alla stregua della regola di un equo bilanciamento tra i diritti, tutti con rilevanza costituzionale - il suo esercizio finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro e per tradursi - soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporti di lavoro pubblico - con l'interesse della collettività. Considerazioni queste la cui prova fa carico sulla parte datoriale privata e su quella pubblica ”.

8. Neanche la censura riguardante la liquidazione dei danni a favore della lavoratrice può trovare accoglimento atteso che il giudice d'appello ha tenuto presente la documentazione acquisita ed ha supportato la sua decisione con una motivazione congrua, priva di salti logici e corretta sul versante giuridico atteso che ben potevano il giudice di primo grado e quello di appello - nella ritenuta certezza della esistenza di un danno subito a livello di spese sopportate dalla D.L. per la mancata iniziale assegnazione della sede di Bari e per una estrema difficoltà di quantificarne l'entità - ricorrere al criterio equitativo (per i presupposti necessari per legittimare una liquidazione equitativa cfr. tra le tante, in epoca recente: Cass. 11 luglio 2007 n. 15585; Cass. 7 giugno 2007 n. 13288).

9. Va rigettato anche il ricorso incidentale con il quale la D.L. denunzia la violazione degli artt. 2727, 2729, 2059, 2043 e 2087 c.c. nonché vizio di motivazione per non avere la sentenza impugnata proceduto alla liquidazione del danno morale soggettivo, del danno non patrimoniale e del danno esistenziale.

La Corte d'appello di Bari nel rigettare la richiesta della D.L. ha osservato che il c.d. danno esistenziale non deriva, contrariamente a quanto affermato dalla lavoratrice, in modo automatico da qualsiasi parziale e temporanea modificazione delle pregresse abitudini, e che il danno biologico vuoi del lavoratore che del familiare assistito, postula la prova specifica - nel caso di specie mancante - di alterazioni psico-fisiche pregiudizievoli.

9.1. La sentenza dei giudici d'appello per poggiare su una motivazione, ancora una volta esauriente e improntata a coerenza logica e rispettosa dei principi giuridici regolanti il risarcimento dei danni non è suscettibile di alcuna critica in questa sede di legittimità (cfr. al riguardo : Cass. 8 ottobre 2007 n. 20987, per la statuizione secondo cui il danno non patrimoniale, costituendo pur sempre un danno-conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, non potendo mai considerarsi "in re ipsa").

10. Le spese del presente giudizio di cassazione - tenuto conto della natura della controversia e delle numerose questioni oggetto di esame – vanno interamente compensate tra le parti ricorrendo giusti motivi.

 
P.Q.M.
 

La corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così decìso in Roma il 4 marzo 2008.

Il Consigliere estensore G. Vidiri

Il Presidente V. Carbone

Il Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2008

Fonte

Fonti:

Testo integrale e massima tratti dalla pagina "Servizio novità" del sito della Corte di Cassazione